Campo estivo VESPARIA PRIMO

Si è concluso il nostro primo campo estivo, un esperimento che ci ha riempito il cuore di gioia, il viso di sorrisi, la mente di riflessioni, gli occhi di splendidi panorami e la pancia ti tante leccornie.

Nella speranza e nella certezza che ci ritroveremo tutti e di più la prossima estate, pubblichiamo un assaggio delle vacanze trascorse in questo posto incantato, ma quanto mai reale

Campi Scuola Maestri di Strada & Fondazione Lungro per Don Milani

IMG_5121Siamo giunti al termine della preparazione pratica dei locali. Abbiamo una riserva d’acqua di 1500 litri, è in funzione l’autoclave, abbiamo una ‘cabina elettrica’ per gestire in modo sicuro tutte le utenze elettriche,  abbiamo docce e batterie di bagni; abbiamo attrezzato tre appartamenti indipendenti ed una cucina e sala pranzo comune.  Ci sono da fare ancora infinite migliorie ed abbellimenti  che saranno a cura dei diversi ospiti. Nel frattempo i Maestri di Strada hanno organizzato l’arrivo dei primi ospiti. Per quest’anno si tratta di pionieri e saranno presenti a partire dal 18 luglio (prima abbiamo in corso diverse attività a Napoli). Si tratterranno una settimana e chi vorrà venire a trovarci in quel periodo sarà ospite gradito.piscina

Alla Piscina di Lungro – Ospiti della scuola Estiva

Ho amato più voi che Lui

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C’è stata ieri a Napoli, organizzata dall’assessore Palmieri una bella celebrazione per Don Milani. Bella perché non è stata una celebrazione ma la continuazione di un racconto attraverso le parole dei tanti che in luoghi e tempi diversi sentono di realizzare qualcosa del messaggio di Don Milani. Molte parole di speranza e di responsabilità. Quando è stato il mio turno ho detto più o meno quel che segue.

Ho amato più voi che Lui
Questa frase – pronunciata sul letto di morte – esprime il massimo della religiosità ed insieme il massimo della laicità.
Il massimo della laicità perché esprime l’amore umano per i suoi ragazzi e al tempo stesso la sua fede, come se fosse l’amore per l’altro a generare la fede e non il viceversa che è la lettura dei credenti ribadita anche dal papa.
Vorrei partire da questa affermazione per sostenere che alla radice dell’impegno di Don Milani c’è uno stato contemplativo.

Lo stato contemplativo consiste nel guardare con assorto e intenso interesse”;
Profonda concentrazione della mente ed elevazione dell’anima sopra ogni modo ordinario di conoscere, fino a una cognizione semplice e affettiva di Dio. (dal vocabolario Treccani)

Lo stato contemplativo è un modo speciale di conoscere che comporta una sorta di identificazione nell’altro. Nel caso del misticismo religioso è una conoscenza semplice ed affettiva di Dio. Ma esiste anche un misticismo laico che si esprime in molti modi ed è sintetizzato dall’espressione di Wittgenstein che nel negare che la ragione possa dire alcunché su Dio, dice che la religiosità si esprime nel “la meraviglia perché il mondo c’è”. La meraviglia sospende ogni spiegazione razionale, ogni tentativo di comprensione, ogni tentativo di impadronirsi di ciò che si guarda ma al contrario spinge ad  immergersi in esso. E’ ciò che esprime Leopardi quando dice ‘ e il naufragar m’è dolce in questo mare’.
L’esperienza mistico-contemplativa comincia spesso nella solitudine e nel deserto. In tutte le grandi religioni l’esperienza del deserto è fondante. In tempi recenti altri hanno trovato nel deserto questa “conoscenza semplice ed affettiva”: Charles de Foucauld , la cui esperienza è all’origine di un ordine religioso contemplativo e in altro modo il Saint Exupery de “Il piccolo principe”.
L’esperienza contemplativa moderna non porta lontano dalla vita attiva ma al contrario consente di ‘perdersi’ nella complessità urbana mantenendo un orientamento rigoroso verso le mete ultime.
Per questo penso che la frase “ho amato più voi che Lui” sia una frase mistica che esprime questa forma di conoscenza semplice ed affettiva nei confronti degli allievi ed è ciò che fa la differenza tra una amore qualunque ed un amore educativo. La visione contemplativa si avvicina molto alla funzione che nella metodologia dei maestri di strada ha il sogno: luogo in cui con l’immediatezza del linguaggio onirico abbiamo una visione dei giovani “come oggi non sono”. (frase che proviene da una poesia di Danilo Dolci che noi abbiamo adottata come nostro programma sintetico)
Anche Don Milani forse ha raggiunto questo stato contemplativo perché è stato confinato in un deserto e lì ha dovuto fare appello a tutta la forza interiore per resistere e trovare una ragion d’essere e lo ha fatto specchiandosi nei suoi giovani allievi.
Usiamo dire che nelle nostre periferie i giovani e noi stessi incontriamo ‘il deserto dei significati’ ed anche noi è necessaria un’esperienza contemplativa per riuscire a contemplare il sogno senza farci distogliere dalla giungla di ostacoli che si interpone tra il nostro lavoro educativo e la sovranità degli allievi.
Nel lavoro educativo la reciprocità è fondamentale e pochi mettono in evidenza quanto aiuto i bambini di Barbiana abbiano dato al loro priore, per dare senso alla sua vita, per riempire la sua solitudine, per resistere ai tentativi di tenerlo ai margini. Così i nostri educatori, maestri di strada, riempiono la loro vita con quella dei nostri giovani e confusi allievi di periferia, così insieme cerchiamo di uscire dal ghetto – “sortire assieme è politica” dice Don Milani – che oggi coinvolge insieme ai figli di nessuno e anche tanti giovani che vivono le nuove emarginazioni prodotte da una società sempre più escludente.

Preparazione campi scuola

Vi mostriamo alcune immagini dai fine settimana impiegati per preparare i campi scuola a Lungro. Il 4, l’11, il 18 ed il 25 giugno ci siamo dedicati ad allestire la struttura che deve ospitare i nostri primi campi scuola. Il 4 un gruppo di coraggiosi/e ha fatto grandi pulizie contendendo gli spazi a ragni, passeri, gechi, e altri visitatori diurni e notturni. Non c’era corrente elettrica, e poca acqua. Docce fredde per lavarsi . Dal 9 all’11 eravamo in 15. Continuano le pulizie, c’è la corrente con un impianto di fortuna.. C’è poca acqua e le docce son ancora fredde.
dal 16 al 18 impianto elettrico definitivo, costruzione della ‘cabina elettrica, inaugurazione della doccia calda, della lavatrice, prima pietra per la riserva d’acqua.
L’alba è sempre meravigliosa. Ci sono nuove visite: per tre giorni un intero branco di cinghiali si è dato da fare sotto le querce: un grosso maschio, due femmine, quattro piccoli. Hanno abitudini notturne e col cellulare appena si intravedono. Il 25 giugno si fanno gli ultimi ritocchi e si spera di avere un calendario dei campi.

Partire da Barbiana per scendere nelle periferie – le sfide della pedagogia della strada

Incontro con Cesare Moreno 23 Giugno 2017 ore 19 salone Don Colucci – parrocchia S. Anna:
Da un recente intervento di Cesare Moreno:

Sono un maestro di strada, Rappresento un nuovo mestiere da me stesso inventato e praticato insieme a molte decine di altri.

Siamo ‘cittadini attivi’: persone dedite a tessere tra i giovani relazioni che sono alla base della convivenza civile. Lo facciamo usando gli strumenti dell’istruzione: …

Il nostro principale attrezzo professionale siamo noi stessi. Persone che riescono a stare in piedi e a vivere con dignità e rispetto di sé in un mondo difficile. Il nostro principale dovere professionale è curare noi stessi per poter essere presenti e riuscire ad accogliere ed elaborare il dolore che a fiumi scorre nelle periferie degradate. Dobbiamo curare noi stessi perché siamo quotidianamente testimoni di ingiustizie e ‘crimini pedagogici’ nei confronti dei giovani e non vogliano trasformarci in una gruppuscolo di denuncia sociale, ma vogliamo sostenere le aspirazioni e la lotta dei giovani per combattere quelle ingiustizie.

Perché sono qui?
Cento anni fa il dr Freud aveva definito il suo mestiere, quello dei docenti e quello dei politici come mestieri ‘impossibili’. Tutti e tre si occupano contemporaneamente di altre persone e di se stessi.

La mia speranza è che crescendo il numero delle persone consapevoli di questa metodologia, noi potremo essere meno isolati e trovare insieme anche forme di impegno che possano migliorare le difficili condizioni di questi lavoratori impossibili.

incontro potenza

Amerete Potenza per l’inclusione e la Coesione sociale propone, in collaborazione con la Parrocchia SS. Anna e Gioacchino, la terza sessione formativa in data 23 Giugno 2017 con un confronto sulle sfide della Pedagogia della strada con Cesare Moreno che ha dedicato la sua vita agli ultimi e a questa sfida con il progetto Chance a Napoli e con l’Associazione Maestri di strada onlus.
Cesare Moreno è anche uno studioso di Lorenzo Milani e non a caso è stato scelto il titolo “Partire da Barbiana per scendere nelle periferie”.

Cinquant’anni dopo

Barbiana 27 maggio 2017

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Sono salito a Barbiana. Quasi un’ora di salita piuttosto ripida nell’ultimo tratto. Ero in compagnia di Marco con cui ci siamo scambiati molte idee su ‘don Milani oggi’. Marco Bontempi è il presidente del consiglio d’amministrazione dell’Istituzione don Milani del comune di Vicchio ed è un ricercatore sociale all’Università di Firenze. Concordiamo sul fatto che celebrazioni agiografiche finiscono per tradire lo spirito e la lettera delle cose che faceva Don Milani.

Mentre salivo, quella strada, la stessa che Don Milani ha percorso la prima volta nell’ottobre 1954 sotto una pioggia battente, pensavo ad una strada molto simile che percorrevo insieme a mia madre nel 1952 per raggiungere la frazione di Ischia dove lei insegnava, ed io ero allievo della pluriclasse ed insieme il baby sitter di mio fratello. Pensavo a quando ci sorprendeva la pioggia e senza poterci riparare in alcun modo arrivavamo al paese – in tutto una decina di case – zuppi d’acqua.

C’ero già stato a Barbiana arrivando in auto a qualche centinaio di metri, ma arrivarci a piedi fa apprezzare meglio in significato di queste tre case isolate e di quelli che stando in questo luogo isolato hanno abbracciato col loro pensiero e la loro scrittura l’intero mondo del tempo. E’ da questa percezione fisica dell’isolamento, della lontananza da mezzi e strutture della grande città che si coglie al meglio la potenza del lavoro educativo, del riuscire ad evadere dalla propria condizione pur restando esattamente nel luogo che il destino ci ha assegnato.

Mentre parlavano il sindaco e Marco e ricordavano i cinquanta anni dalla morte di don MìIani, ho improvvisamente realizzato che sono anche cinquanta anni da quando ho conosciuto, attraverso la Lettere a una professoressa, la figura di don Milani. Sono i cinquanta anni che mi separano dalla conoscenza di Carla che oggi non c’è più. E’ stata lei che mi ha introdotto a Don Milani come a tante altre cose importanti per la mia vita e per la vita di quelli che abbiamo curato durante quarant’anni di vita in comune. Oggi è la prima volta che ripercorro la strada che lei aveva percorso tra il 65 e il 67 in pellegrinaggio a questa figura che già allora era un riferimento per chi voleva fare scuola vera. Fu anche lei a farmi leggere la lettera che io divulgai tra tutti gli studenti che incontravo durante le occupazioni dell’università.

Dunque oggi si celebra per me più di un cinquantenario.

L’ho detto quando è stat il mio turno di parola dopo il sindaco e Marco Bontempi.

C’erano 600 persone contate una ad una e forse almeno un centinaio non conteggiate. Ci siamo detti: è una passeggiata più che una marcia e strada facendo abbiamo riflettutto che il passaggio da un marcia ad una passeggiata – con un numero doppio di partecipanti rispetto all’anno passato – segna il passaggio da una situazione in cui grandi organizzazioni e narrazioni diventano il contenitore dei pensieri e delle iniziative dei singoli e dei gruppi ad una situazione in cui tutti ricercano – e cercano di realizzare – una narrazione in cui ci sia posto per le nuove generazioni e per coloro che se ne prendono cura.

Il pensiero ed il lavoro di Don Milani sostituiscono un vero continente in cui si trovano pensieri importanti su decisive questioni, ma oggi forse è necessario per tutti i presenti andare via con un messaggio leggero da portare anche se pesante da realizzare. Di molte parole chiave ne riprendo solo due: amore e sovranità.

Ripeto qui ciò che da diversi anni dico agli educatori con cui collaboro: la relazione educativa è una relazione d’amore. L’amore pedagogico che fa crescere la persona intera e che muove insieme il maestro e gli allievi. Bisogna ritornare ad affermazioni elementari come questa se si vuole trovare la strada dell’educazione. Don Milani – non lo dimentichiamo – è stato un educatore e non un professore: si occupava della crescita dei ragazzi a tutto campo, non si limitava allo sviluppo della mente razionale. Se vogliamo occuparci della crescita dei giovani dobbiamo partire da qui, se no restiamo seppelliti da montagne di carte, inermi ed assenti di fonte alle difficoltà che ogni giovane si può trovare ad affrontare.

Qualcuno ha riferito che lui stesso in punto di morte abbia detto: “ho amato più loro che Lui”, e credo che questa sia la massima espressione di una religiosità ’laica’ di una fiducia nell’uomo che è più forte di ogni altro sentimento. Dico che è un’affermazione universale e laica perché ancor aoggi incontriamo educatori e docenti che sono più appassionati di una disciplina, di un’idea politica, di una immagine corretta di sé che non dell’allievo che hanno di fronte e questo impedisce a tante brave persone di diventare anche dei buoni educatori.

La seconda parola è ‘sovranità. Ne ha già parlato Marco Bontempi, ma vorrei ripetere quasi alla lettera le parole di don Milani: gli onorevoli padri costituenti pensavano che noi tutti si volesse cucir budella (chirurghi ndr) o diventare ingegneri. Troppo poco, noi siamo molto più ambizioni: vogliamo essere sovrani.
Essere sovrani dei propri pensieri, capaci di riflettere su di sé, connettersi alle esperienze e alle emozioni più profonde, riassume nel migliore dei modi il fine dell’educazione. In una sola frase don Milani ha dato una sistemata a quelli che riducono la missione dell’educazione a fini pratici di conferma o scalata sociale, a quelli che si sentono politicamente a posto perché proclamano l’eguaglianza e la possibilità per tutti di raggiungere le posizioni sociali più importanti.
Educatori e docenti devono viaggiare leggeri se no si periscono nelle giungle istituzionali, nel chiacchiericcio dei media, confusi dalle classificazioni, psicologicamente sudditi di chiunque possa esibire un dolore personale o una ferita sociale.

A Barbiana, che molti stanno cercando di conservare nella sua semplicità ed autenticità, bisogna andar via portando con sé un messaggio tanto semplice quanto potente, come sono state le persone che ho ricordato all’inizio di questo intervento.

 

Sullo stesso argomento:
Salire a Barbiana per scendere nelle periferie
Diventare sovrani
Giovani Sovrani

Quarantacinque anni dopo: salire a Barbiana e scendere nelle periferie

Il 26 giugno 2012 al MIUR in molti abbiamo discusso con Adele Corradi, 88 anni, che ha scritto il bel libro  “Non so se Don Lorenzo…”  Ho  parlato anche io dicendo alcune delle cose che in modo più esteso riferisco qui e che credo siano ancora attuali a distanza di 5 anni.

 

Il problema della scuola sono i ragazzi che perde

Chi ripete questo slogan è bene che rifletta sul fatto che i ragazzi che la scuola perde sono il sintomo di una malattia diffusa che è la separazione tra l’essere e il sapere. Se questo è vero non basta promuovere tutti per assolvere la scuola, non basta eliminare il sintomo per guarire una malattia che esiste anche tra i primi della classe. Tutta la narrazione di Don Milani dimostra che la bocciatura è la conseguenza di questa scissione e che bisogna guardare a questa  se vogliamo correggere gli errori della scuola.

I ragazzi che la scuola perde sono anche  il sintomo di una scissione tra la missione civile della scuola che si realizza creando legami e solidarietà umana, e le esigenze dell’economia politica che vuole competizione per una  produttività mercificata e misurabile in percentuali di PIL.

Fare le parti uguali tra diseguali

Ma non possiamo pensare al riequilibrio in termini di ‘discriminazione positiva’. Don Milani si esprimeva nel linguaggio dell’epoca che metteva in primo piano gli aspetti socio-economici, ma oggi noi capiamo, e lo conferma anche una sua più attenta lettura, che una redistribuzione delle risorse in termini materiali è insufficiente. Ciò che è necessario è restituire ai giovani esclusi il rispetto di sé e la fiducia nelle possibilità di migliorarsi  offrendo un sostegno alla persona molto più consistente di quello che si fornisce a chi gode di condizioni favorevoli all’apprendimento. Per restituire fiducia in sé occorre un supplemento di buone relazioni umane, ossia una migliore qualità delle relazioni e non una maggiore quantità di beni disponibili.

Il riequilibrio delle risorse non si realizza nell’ascesa sociale o nella diversa distribuzione dei beni,  ma sviluppando in misura maggiore la solidarietà umana.

Amore

Non c’è scritto, ma solo per pudore, confermato da Adele, che la relazione educativa è una relazione d’amore, ma traspare che ogni parola deriva dall’amore pedagogico, da quel sogno che  consiste di vedere gli allievi come oggi non sono.  Il pudore di cui parlo è rispetto a  una nozione  d’amore che si confonde con l’innamoramento o l’infatuazione (Diceva il priore: i preti e le puttane si innamorano alla svelta …) Nell’amore c’è reciprocità, condivisione, rispetto, tenuta bel tempo. E’ l’amore che consente di essere severi e rigorosi perché solo chi ama può rischiare di non essere amato per il bene dell’altro (ricordate le due madri di Salomone?). L’amore pedagogico è un amore speciale che nasce dalla conoscenza, da un’empatia costruita sulla conoscenza ed accettazione dell’altro e sulla possibilità offerta all’altro di poter accedere, attraverso la conoscenza e la reciprocità, al sé. L’amore pedagogico non è sentimentalismo o mammismo ma esercizio di un potere di crescita su sé e sull’altro. L’amore pedagogico non si manifesta nella collusione ma nella cura e nella responsabilità. I care: io rispondo, mi compete e mi curo di te.

L’educazione è una relazione d’amore che si manifesta con la cura.

Riscatto sociale

Educazione è indissolubilmente legata a riscatto sociale.

Molti leggono  ‘riscatto sociale’ come  scalata sociale, o “ascensore sociale”; in termini più politici come  possibile rivoluzione – le classi lavoratrici al potere – oppure come redistribuzione di reddito. Tutte cose che potrebbero anche essere buone, ma noi educatori dobbiamo sapere che  riscatto sociale significa soprattutto civismo, diventare cittadini attivi, dare i mezzi per esserlo. E don Milani praticava una scuola di questo tipo in cui i ragazzi dovevano combattere soprattutto l’emarginazione interiore che li condannava a sentirsi ‘inferiori’. E questo resta ancora il compito principale dell’educazione,

Didattica attiva e cooperazione

La didattica attiva è l’unica che funziona per tutti perché insegna la cooperazione. L’apprendimento o è cooperativo o non è;

l’apprendimento è circolare o non è: coinvolge chi apprende e chi insegna, chi insegna ascolta ed apprende se no non ha nulla da dire, non ha legittimità a parlare, non è una autorità perché è autorità colui che fa crescere;

l’apprendimento o è politico o non è: o aiuta a creare legami con gli altri, o viene gestito come un fatto pubblico che interessa tutti, perché i giovani che crescono sono la gioia della società, oppure non serve a niente

E don Milani della Scuola di Barbiana ha fatto il centro del mondo, il fulcro di una leva da cui  poteva permettersi di giudicare il mondo. E così deve essere ogni scuola in cui si voglia promuovere i giovani a cittadini.

Insegnare è un incontro culturale

Ancora oggi c’è chi si attarda a lodare la cultura ‘proletaria’ o contadina come culture altre, come portatrici della settima meraviglia. Molti hanno romantica nostalgia della pretesa semplicità della vita proletaria o contadina. Va bene anche questo, ma noi educatori dobbiamo sapere che a scuola si realizzano incontri antropologici: la cultura vera è quella   capace di tenere assieme le culture diverse di ciascuno. Ogni modo di vita, ogni esperienza collettiva o personale è un mondo da rispettare e contemplare senza volerlo trasformare, volendo invece accoglierlo in sé per farsi trasformare: da un simile processo nasce un mondo condiviso in cui se c’è da cambiare si cambia assieme. Don Milani tuona contro chi pretende di imporre un unico modo di vivere e di pensare. Ha ragione e noi dobbiamo capirlo così bene da non accontentarci di esaltare una cultura pretesa alternativa contro un’altra ma accogliendole tutte.

Attenzione alle competenze informali

Ci sono conoscenze che si hanno senza sapere di averle, grammatiche e sintassi della lingua e delle relazioni praticate senza esserne consapevoli; ci sono esperienze condivise e partecipate alla maniera ‘dei pazzi e dei primitivi’ (lo diceva Vigotsky) o dei contemplativi aggiungo io. Esperienze crepuscolari che stentano a venire alla coscienza. Tutto questo viene cassato da una didattica che non sia centrata sull’ascolto, che non stia attenta a quel che dice l’allievo come se fosse un prezioso reperto archeologico o l’indizio per una indagine amorosa.  Ora lo dice anche l’Europa, se ne sono impadronite in malo modo le fabbriche private di lauree facili, invece è la chiave di volta per una scuola partecipata, dove i ragazzi stiano dentro con tutti i sentimenti.  Don Milani era molto attento a questo, a osservare ed ascoltare e noi oggi sappiamo che non si tratta di un atteggiamento di romantica ammirazione per il naif ma di un posizione pedagogica senza la quale la scuola consuma la scissione tra essere e sapere. Il primo compito della scuola è consentire ai giovani di comunicare il sé, di comunicare l’umano che in ciascuno vive; senza di questo la scuola è serva dell’ultima moda, dell’ultimo dilettante allo sbaraglio fosse pure ministro. Noi siamo più seri.

Desiderio, Severità e Rigore

L’emarginazione interiore è quella primaria,  viene prima di quella sociale. Cronologicamente forse esiste prima l’emarginazione sociale; nella catena causale forse è prima la miseria materiale, ma nella psiche, nell’organizzazione mentale dei giovani con cui ci relazioniamo, l’emarginazione interiore è quella primaria, è quella che impedisce di esprimere l’umano, di apprendere dall’esperienza e dalle relazioni. E’ il senso di inadeguatezza sociale e personale che impedisce di ospitare il bello, il vero, il bene. Per sentirsi adeguati occorre il riconoscimento: l’autorità, prima quella paterna poi quella sociale, riconosce l’esistenza del giovane nello stesso momento in cui gli indica o gli impone un limite all’espressione del potere che dentro di lui cresce.  Senza limiti il giovane si sente semplicemente non visto, è trasparente agli altri come a sé. A scuola i giovani dovrebbero incontrare siffatta autorità che fa crescere il potere su di sé e ne indica con fermezza i limiti di espressione: voler superare questi limiti, come è nella natura dell’umano, fa crescere il desiderio di apprendere e di crescere. Senza desiderio non c’è educazione. Senza limiti non c’è desiderio.  Don Milani di limiti ne metteva, di fermezza e rigore ne usava. Erano aspetti caratteriali di un prete che era anche profeta?  Sono compiti primari per chi voglia educare oggi in una realtà complessa in cui troppe autorità si sono ecclissate.

Chi vuole educare non deve additare le barriere materiali, che pure continuano ad esserci e vanno combattute, ma soprattutto abbattere barriere invisibili che impediscono di esperire la conoscenza dei limiti dell’umano oltre i quali nasce il desiderio di superamento,

Indifferenza, solitudine, impotenza

Molti inseganti si arrabbiarono quando uscì Lettera ad una professoressa, molti si arrabbiamo ancora;  molti usano la lettera come arma impropria, come libretto rosso da sventolare sotto il naso dei reazionari o – in edizione rilegata – per bastonare il capo delle ‘vestali della classe media’.  Dobbiamo continuare così?

Siamo così convinti che la scuola vada storta perché i docenti sono indifferenti e insensibili ai dolori del mondo e più immediatamente a quelli dei loro giovani allievi?

Siamo così convinti che colpevolizzare i docenti sia una buona strategia per indurre il cambiamento?

Siamo così convinti che aggregare tutti quelli che per affinità elettive amano la scuola attiva o la pedagogia degli oppressi, o una qualche teologia liberatoria sia una buona strategia di cambiamento?

Noi maestri di strada siamo convinti che l’indifferenza, l’insensibilità, la ‘follia docente’ siano qualità socialmente prodotte, il risultato inevitabile di una condizione di isolamento ed impotenza pedagogica in cui i docenti sono stati gettati da una prolungata temperie di individualismo sfrenato  favorito da una cultura dell’idealismo e del genio solitario che ha fatto dei “professori”, da troppo tempo, i portatori sani del virus della personalità autoritaria (= impotenza + etnocentrismo + sessismo + sadismo q.b.). La condizione di isolamento ed impotenza induce una necessaria negazione: negare la persona che ‘porta’ un problema perché non si è in grado di affrontarlo, perché è troppo doloroso affrontarlo.  L’”insensibilità” verso il dolore altrui è necessaria per difendere se stessi, per non disintegrarsi di fronte all’altro.  La negazione della diversità non è frutto di una insensibilità personale del docente del ‘ceto medio’ ma è il frutto di un sistema  che produce esclusione molto meglio che inclusione, gettando gli insegnanti nella solitudine e nell’impotenza pedagogica.

Se noi capiamo questo, capiamo anche che qualsiasi posizione che critichi il docente come persona e non come funzione dentro un’organizzazione, non fa altro che aumentare la disperazione ed il bisogno di negazione.  Abbiamo avuto un governo ed un capo del governo che quotidianamente hanno attaccato gli insegnanti come persone per nascondere le responsabilità del sistema e forse è l’unico merito che io riconoscerei al passato governo quello di averci aiutato a capire – se ne siamo capaci – quanto occorra essere solidali con gli insegnanti ‘insensibili’, quanto occorra liberarsi insieme a loro di ciò che ci impedisce di entrare in contatto con l’umano che dovrebbe essere al centro della scuola. Noi maestri di strada lo ripetiamo  in ogni occasione: occorre ripristinare -o istituire – le funzioni di pensiero a scuola; è necessario che gli insegnanti possano riflettere insieme sulle esperienze, possano insieme affrontare la quantità enorme di dolore che si riversa oggi nelle scuole. Don Milani di questo parla poco, lui aveva un dialogo costante con il suo Dio, e più laicamente con la straordinaria Adele Corradi, che non mancava di bacchettarlo quando era necessario, sapendo di avere ragione e ricordandolo ancora oggi. Noi dobbiamo arrangiarci tra di noi, ma siamo convinti di potercela fare.

[Cesare Moreno]

Marcia di Barbiana 2017

Anche quest’anno ritorna la marcia di Barbiana.

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Le Associazioni Antonietta Rondoni, Barcobaleno PassioniinMovimento e Presidio Libera Forlimpopoli Giuseppe Letizia organizzano un pullman per partecipare alla Marcia di Barbiana 2017. Sulle Sulle pendici del Monte Giovi, a una decina di chilometri da Vicchio, si trova Barbiana:
la chiesa di S. Andrea, il piccolo cimitero, poche case vicine,
altre sparse nei boschi e nei campi.
Nel dicembre 1954 vi arrivò come priore don Lorenzo Milani che per quasi tredici anni visse qui la propria esperienza di uomo, di prete, di maestro.
L’incontro tra don Lorenzo Milani e i ragazzi che ebbe per allievi, dette vita a una delle più importanti esperienze educative del nostro paese: la Scuola di Barbiana, una realtà che sconcertò e stimolò il dibattito pedagogico ed educativo, anche nei decenni successivi.
Sempre più la Scuola di Barbiana sprigiona la sua forza di provocazione, esercita funzione di modello, di stimolo a trasmettere saperi critici e di affermazione dei principi di equità e solidarietà.
Per questo, oggi più che mai, è significativo il tornarci insieme, facendo della marcia un momento di riaffermazione di un impegno civico e culturale.
Perché, nella crisi profonda che colpisce la scuola, Barbiana ci indica che nessuno può delegare ad altri l’uscita dai problemi; che sta a ciascuno essere il cambiamento che chiede di vedere, facendo un passo alla volta.
PER BARBIANA E’ GIA’ POSSIBILE PRENOTARSI
Partenza antistante la piazza di Forlimpopoli, direzione Cesena, alle ore 7,45.
Spesa prevista:10 Euro per gli adulti e 5 Euro per i ragazzi sotto i 14 anni.
Programma della marcia:
La marcia partirà alle ore 10:30 dal Lago Viola
Comunque raggiungerete Vicchio troverete, una volta giunti sul territorio comunale, le indicazioni per arrivare ai parcheggi e per rintracciare i percorsi pedonali che portano fino al Lago Viola.
Alla stazione ferroviaria di Vicchio sarà attivo, per tutto il giorno, un servizio bus navetta per il Lago Viola e percorso inverso.
Per i disabili o per le persone in difficoltà sarà possibile parcheggiare vicino al luogo di partenza della marcia (il Lago Viola).La strada è in salita, ripida in alcuni tratti.
Camminando lentamente si arriva a Barbiana in circa due ore.Lungo il tragitto potrete trovare punti dove viene distribuita acqua potabile e dove sono a disposizione servizi igienici.
Lungo il tragitto non ci sono bancarelle e non c’è niente da comprare, neppure un panino. Se volete pranzare a Barbiana, prima di scendere nuovamente al Lago, dovete portare con voi quello che vi necessita.
Comunque prima della partenza e all’arrivo siamo in prossimità della famosa “CASA DEL PROSCIUTTO” di Ponte a Vicchio e qui coi consigli di ”Baccobaleno” è possibile accompagnare i “rifornimenti” con dell’ottimo Chianti
Per i disabili o per le persone in difficoltà saranno attivi servizi di bus navetta dal Lago Viola fino a Barbiana e ritorno.
Da Barbiana si scende di nuovo al Lago Viola in circa un’ora.Se ci tenete a partecipare al momento di chiusura della marcia vi consigliamo di riprendere il cammino di ritorno non più tardi delle 13:30
Alle 14: 30 conclusione della giornata
Per facilitare coloro che verranno da lontano la giornata si concluderà, al Lago Viola, alle ore 14:30.
Al rientro è prevista una sosta a Scarperia, per vedere i famosi “coltelli di scarperia”

Per prenotare:
Carlo Rondoni: mail- carondo@tin.it; 340/9716539

Per altre info clicca qui

Diventare sovrani

Per la 29a Festa Nazionale di Macondo ci è stato chiesto un contributo sul tema della fiducia e soprattutto se possiamo considerare Don Milani un precursore dei Maestri di Strada. Queste alcune idee in proposito.

Fiducia

Fiducia nel futuro, fiducia nella scienza, fiducia nell’economia di mercato, fiducia nel governo del mondo, fiducia negli insegnanti, fiducia negli adulti …..
Se il nostro desiderio di vivere fosse legato alla fiducia nelle istituzioni sociali ci sarebbe ben poco da sperare.
Noi pensiamo invece al sentimento indivisibile che è parte fondante dell’essere uomini: la fiducia nell’uomo stesso, nelle relazioni e nei legami che la incarnano.
Questa fiducia è all’origine di ogni altra fiducia e soprattutto genera la fiducia in sé che è intrecciata indissolubilmente con il desiderio, il quale muove ciascuno al cambiamento di sé.
Nella visione dei Maestri di Strada l’educazione non consiste nell’arginare la vitalità giovanile ma al contrario nel sostenerla; educare è aiutare i giovani a trovare i punti di applicazione per le proprie energie e la propria vitalità. Per questo i giovani non vanno protetti: protezione è spesso sinonimo di limitazione, e proibizioni, i giovani hanno bisogno di attivarsi avendo fiducia di essere efficaci e che la propria esistenza sia significativa, stia a cuore a qualcuno.
La fiducia non deriva da un atto individuale e volontaristico, ma si costruisce in una comunità: è un sentimento collettivo alla base della comunità che rappresenta infatti il luogo delle ‘obbligazioni reciproche’, il luogo in cui ogni azione compiuta per l’altro ritorna a sé, è il luogo della reciprocità. La reciprocità è la linfa circolante che nutre una intera comunità, se la reciprocità è limitata a relazioni duali e non circola la fiducia resta una pianta fragile. Ogni attività dei Maestri di Strada punta ad offrire ai giovani la possibilità di sentirsi importanti e significativi per la comunità. Nel rispecchiamento tra individuo e comunità si rinforza la fiducia in sé, la convinzione di avere le risorse per vivere una vita buona. Questa metodologia nata in modo indipendente ed originale è molto diversa da quella fondata su figure carismatiche proprio perché offre ai giovani un ambiente umano che garantisce quella continuità nello spazio e nel tempo che non può essere offerta da una singola personalità.
La fiducia nella comunità aiuta a resistere, ossia argina l’invadenza del mondo delle cose, dei bisogni materiali indotti dal mercato, consente di resistere alla reificazione della coscienza che porta a considerare naturale ciò che non lo é. La chiamiamo pedagogia della resistenza che aiuta a conservare l’umano e la solidarietà umana senza della quale non possiamo dirci uomini.

Nelle periferie, per i giovani che vivono una vita a volte deviante questa pedagogia resistente assume un andamento ‘itinerante’, un movimento pendolare tra spazi protetti e gli spazi aperti di territori senza né legge né sicurezza.
Per “spazio protetto” intendiamo uno spazio in cui sia possibile allentare le maglie della paura e dell’odio e questo è possibile quando adulti forti organizzano uno spazio in cui la parola e il pensiero siano possibili perché si riescono a contenere le azioni senza pensiero.
Per molti l’ideale di una buona educazione sarebbe quello di tenere i giovani in un ambiente separato dalla realtà in cui sono nati. Al contrario i Maestri di Strada ritengono vitale questo movimento pendolare per sviluppare nei giovani la capacità di elaborazione di esperienze difficili, per essere liberi è necessario elaborare una dolorosa realtà interiore che altrimenti grava sull’animo della giovane persona per tutta la vita. Gli allievi che hanno subito un danno di motivazione, che hanno vissuto o hanno adottato comportamenti devianti sono da noi accompagnati a superare le paure ed i vincoli che li hanno portati a comportamenti che danneggiano gli altri e se stessi.
Ci sembra quindi di poter condividere l’idea che una seconda opera formativa per i giovani devianti non possa avvenire nel chiuso di una istituzione – costrittiva o meno che sia – ma debba avvenire seguendo questo doppio movimento in cui anche le parti ‘cattive’ – prigioniere di sequenze di atti senza pensiero – sono assunte come proprie e integrate nello sviluppo di una persona autentica ed intera.
La metafora che usiamo è quella del ‘viandante’ che raccoglie risorse strada facendo, che ha fiducia che coloro che incontrerà siano degli amici pronti ad aiutarlo nell’esplorazione di un mondo che non conosce.

Il priore di Barbiana

Siamo a cinquanta anni dalla morte di don Milani ed è indispensabile chiedersi quanto tutto questo possa essere considerato ‘milaniano’
Per quello che ci riguarda di Don Milani non interessano le tecniche che sono ottime ma in tutto simili a quelle di migliaia di docenti prima e dopo di lui. Ci interessa la sua pedagogia, il modo in cui sostiene i processi di crescita dei giovani e prendiamo spunto da quattro parole chiave: amore, parola, sovranità, responsabilità.

Amore

La scuola non può esser fatta che per amore (cioè non dallo Stato).(Don Milani)

La relazione educativa è una relazione d’amore: lo andiamo dicendo e praticando da tempo, l’amore pedagogico è uno speciale amore che consente di “sognare l’altro come oggi non è” che esclude ogni forma di possesso, ed è un amore a scadenza: l’amore è tanto più efficace quanto più riesce a far crescere l’altro fino al suo distacco. E’ un amore costruito, frutto di conoscenza ed empatia che si nutre nello specchiamento di maestri ed allievi.
Don Milani stesso ed in seguito Ernesto Balducci (dei frati Scolopi ed importante innovatore del pensiero cristiano), erano convinti che lo Stato non potesse attivare una scuola fondata sull’amore:

“Il limite di fondo della proposta milaniana è oggi più visibile: non è possibile chiedere alla scuola-istituzione quel che invece può offrire una scuola spontanea animata da un maestro ‘carismatico’. In quanto è un servizio reso a tutti i cittadini, secondo le regole oggettive dello stato di diritto, la scuola di stato non può essere progettata facendo affidamento sulla eventualità della ricchezza soggettiva degli educatori”. (Ernesto Balducci)

Invece è proprio su questo punto che noi Maestri di Strada abbiamo l’ambizione di avere realizzato in venti anni di attività una scuola in cui ‘la ricchezza soggettiva degli educatori’ viene costruita con metodo perché pensiamo non più al docente singolo, ma ad un gruppo capace di far circolare al suo interno la forza dei legami.
Per anni mi è stato ripetuto che certe cose erano possibili solo grazie al mio carisma personale. Oggi ci sono almeno cinquanta giovani persone cresciute nel metodo dei Maestri di Strada che hanno conquistato il carisma necessario ad interagire con altre giovani persone ai margini della società e sempre più spesso sono anche capaci di interagire con quelle persone che nonostante il benessere materiale nutrono profonde angosce esistenziali. Questo cambiamento non è frutto di una trovata geniale di qualcuno o della vocazione profetica di un altro, ma frutto di una scienza dell’animo umano e delle interazioni nei gruppi umani che ci consente di elaborare insieme le nostre difficoltà e quelle degli allievi in un processo autenticamente maieutico in cui nuovi pensieri nascono e si nutrono nell’utero accogliente di un gruppo umano solidale.

Parola

“dare tutti gli usi della parola a tutti”.(Don Milani)

La seconda parola chiave è ‘parola’. Noi abbiamo adottato senza riserve l’idea che occorre “dare tutti gli usi della parola a tutti”. Don Milani ha particolarmente sviluppato l’uso della parola necessaria a non sentirsi subalterni, a non sentirsi inferiori a chi comanda. Noi stiamo sviluppando particolarmente quell’uso della parola che serve ad esprimere il sé; la parola necessaria a mantenere il contatto della mente razionale con le radici emotive dell’esistere. Solo restando in contatto con le emozioni proprie – con la lingua nativa – si ha la forza e l’ardire di non subire la voce dei potenti, di non subire le voci della folla.
Quello che abbiamo appreso attraverso la riflessione psicologica è che lo spazio della parola coincide con lo spazio di pensiero e che il pensiero è possibile solo quando nell’animo c’è spazio liberato dalla paura e dall’odio. C’è un legame tra l’esistenza di una comunità riflessiva in cui è possibile fidarsi l’uno dell’altro e la possibilità di prendere la parola. Ed insieme a questo sostegno sociale allo sviluppo di una interiorità libera, noi consideriamo che sia decisiva per la crescita personale l’esistenza di ‘spazi traslati’ in cui sia possibile ritrovarsi attraverso i linguaggi artistici. La poesia, l’arte, la grande letteratura sono in sé educativi e questo aspetto della parola ci pare che oggi debba essere centrale rispetto ad una parola legata alle necessità dello ‘scontro di classe” che invece era al centro degli anni di Don Milani.

Sovranità

Gli onorevoli costituenti credevano che si patisse tutti la voglia di cucir budella o di scrivere ingegnere sulla carta intestata (…) Tentiamo invece di educare i ragazzi a più ambizione. Diventare sovrani! Altro che medico o ingegnere” (Don Milani)

Per quanto ne so è una delle frasi meno citate di Don Milani eppure è forse la più importante. Ripetuta in termini attuali significa: la scuola non è un ascensore sociale, serve a sé, serve a diventare sovrani. Ora abbiamo imparato la parola empowerment e altre parole più tecniche del tipo: “accrescere il potere d’accesso alle risorse proprie”, ma il concetto è quello: stabilire la sovranità su di sé, diventare padrone delle proprie risorse, non accettare in nessuna forma di essere eterodiretti. Questo è un vero sogno, irrealizzabile, ma la cui forza motrice è potente e ci consente di convivere con un mondo sempre più ingiusto, sempre più assurdo. Se la scuola italiana fosse in grado di adottare questo “obiettivo onirico” prima degli obiettivi didattici, dei programmi e di tutti gli arnesi valutativi forse i docenti avrebbero finalmente la bussola educativa che oggi non hanno.

Responsabilità – Ognuno deve sentirsi responsabile di tutto

Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande I care. E il motto intraducibile dei giovani americani migliori. ‘Me ne importa, mi sta a cuore’. E il contrario esatto del motto fascista ‘Me ne frego’.” (Don Milani)

 «L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balìa di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti»  (Hannah Arendt)

C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato. (Danilo Dolci)

Sentirsi responsabili di tutto (don Milani) significa sentirsi responsabili dell’assurdo ch’è nel mondo (Danilo Dolci) e al tempo stesso amarlo per amore dei nostri figli e per non lasciarli ‘in balia di se stessi’(Hannah Arendt). Don Milani ha costruito la sua esperienza in un tempo in cui era ancora forte la speranza di un cambiamento sociale radicale e si chiedeva a tutti di sentirsi responsabili e di impegnarsi in quella direzione. Oggi noi siamo impegnati a ricostruire la speranza in un mondo in cui l’assurdo è troppo presente.
La parte più difficile del lavoro dei Maestri di Strada è restare vicini ai giovani anche quando l’assurdo li colpisce in pieno volto, anche quando l’assurdo proviene dalle persone che dovrebbero amarli, anche quando proviene dalle persone che dovrebbero educarli. E’ dura dover rispondere di questo assurdo, eppure è solo questo che serve a sviluppare la fiducia: i nostri giovani credono in noi perché non fuggiamo, non ci dissociamo dal mondo così come è, ma cerchiamo di venirne fuori insieme. E qui cito di nuovo Don Milani: la politica è l’arte di venirne fuori assieme ed in questo senso il progetto dei Maestri di Strada è il più politico che ci sia, all’origine di una nuova convivenza civile. E’ un sogno ma serve ad andare avanti.

Attività educative, sociali, culturali della Fondazione

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