Don Lorenzo Milani

« Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto. »
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Don Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti (Firenze, 27 maggio 1923 – Firenze, 26 giugno 1967) è stato un presbitero,insegnante, scrittore ed educatore italiano.

Figura controversa della Chiesa cattolica negli anni cinquanta e sessanta, viene ora considerato una figura di riferimento per il cattolicesimo socialmente attivo per il suo impegno civile nell’istruzione dei poveri, la sua difesa dell’obiezione di coscienza e per il valore pedagogico della sua esperienza di maestro.

Alcune delle persone, all’epoca ragazzi, da lui seguiti si impegnarono a loro volta nei sindacati o nella politica.

Lorenzo Milani cominciò fin dall’inizio a scontrarsi con la mentalità della Chiesa e della curia: non riusciva a comprendere le ragioni di certe regole, prudenze, manierismi che ai suoi occhi erano lontanissimi dall’immediatezza e sincerità del Vangelo.

Nel dicembre del 1954, a causa di screzi con la Curia di Firenze, venne mandato a Barbiana, minuscola e sperduta frazione di montagna nel comune di Vicchio, in Mugello, dove iniziò il primo tentativo di scuola a tempo pieno, espressamente rivolto alle classi popolari, dove, tra le altre cose, sperimentò il metodo della scrittura collettiva. La sua scuola era alloggiata in un paio di stanze della canonica annessa alla piccola chiesa di Barbiana, un paese con un nucleo di poche case intorno alla chiesa e molti casolari sparsi sulle pendici del monte Giovi: con il bel tempo si faceva scuola all’aperto sotto il pergolato. La scuola di Barbiana era un vero e proprio collettivo dove si lavorava tutti insieme e la regola principale era che chi sapeva di più aiutava e sosteneva chi sapeva di meno, 365 giorni all’anno.

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Opera fondamentale della scuola di Barbiana è Lettera a una professoressa, in cui i ragazzi della scuola (insieme a Don Milani) denunciavano il sistema scolastico e il metodo didattico che favoriva l’istruzione delle classi più ricche (i cosiddetti “Pierini”), lasciando la piaga dell’analfabetismo in gran parte del paese. La Lettera a una professoressa fu scritta negli anni della malattia di don Milani. Pubblicata dopo la sua morte è diventata uno dei moniti del movimento studentesco del ’68.

Fu Don Milani ad adottare il motto “I care“, letteralmente mi importa, mi interessa, ho a cuore (in dichiarata contrapposizione al “Me ne frego” fascista), che sarà in seguito fatto proprio da numerose organizzazioni religiose e politiche. Questa frase scritta su un cartello all’ingresso riassumeva le finalità educative di una scuola orientata alla presa di coscienza civile e sociale.

Don Milani morì verso la fine di giugno del 1967 a causa di un linfogranuloma; negli ultimi mesi della malattia volle stare vicino ai suoi ragazzi perché, come sosteneva, “imparassero che cosa è la morte”. Tuttavia, nei suoi ultimi giorni di vita fu riportato a Firenze, per morire in casa di sua madre. Fu poi tumulato nel piccolo cimitero poco lontano dalla sua chiesa e scuola di Barbiana, seppellito in abito talare e, su sua espressa richiesta, con gli scarponi da montagna ai piedi.

I Giardini dell’animo

Nei giardini dell’animo riattiviamo il circuito che alimenta ciò che è coltivato e colto con ciò che è naturale: l’ambiente naturale, il corpo e le emozioni di ciascuno.  Coloro che hanno sofferto sintomi importanti di sofferenza psichica e coloro che oggi si sentono esclusi e demotivati possono ritrovare se stessi riprovando insieme a coltivare l’umano.

In quella parte della provincia di Cosenza che va dalla Valle del Savuto a Castrovillari, è in atto un processo di trasformazione territoriale che vede l’avanzare di una intensa urbanizzazione da un lato e il ritiro progressivo dai centri storici (per i piccoli centri) dall’altro, con conseguenti fenomeni di spopolamento e di crisi di relazioni e di dialogo tra attività urbane, rurali e boschive che fino a qualche tempo fa caratterizzavano i piccoli centri montani e le valli laterali.

Accanto allo spopolamento c’è anche una rarefazione dei servizi spontanei di cura riguardanti gli anziani, i giovanissimi e ogni forma di disagio relazionale o psichico.

In sostanza vengono meno la dimensione di comunità e i legami di solidarietà umana che costituiscono l’alveo nel quale i disagi riescono ad essere spontaneamente contenuti ed in cui (attraverso presa di coscienza e consapevolezza tecnica) possono divenire, entro limiti definiti, elementi strutturali di un processo di riabilitazione sociale dei soggetti cui sono rivolti i servizi di salute mentale.

I GIARDINI DELL’ANIMO sull’idea che il benessere psichico e sociale derivi da:

  1. riattivazione della ‘conversazione sociale’ intorno ai temi della cura reciproca e dei  soggetti deboli, fragili, a disagio (cura).
  2. riattivazione delle relazioni di interdipendenza comunità-ambiente:
  3. a) nella sua dimensione antropizzata – agricoltura ed attività economiche – (lavoro).
  4. b) e nella sua dimensione naturale (beni paesaggistici e naturali) (natura).
  5. riattivazione delle forme collettive ed individuali di espressività artistica intesa come occasione in cui l’uomo nei secoli poteva rappresentare ciò che restava inespresso nel quotidiano (arte).

Il progetto prevede quindi l’attivazione di un “luogo-comunità” verso cui convergono in modo socialmente condiviso le quattro dimensioni della cura, del lavoro, della partecipazione all’esperienza della natura e dell’arte:

il giardino dell’animo luogo in cui ci si prende cura contemporaneamente del corpo, coltivando ciò che serve a nutrirlo, e dell’animo, coltivando i pensieri e le visioni che lo nutrono.

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Una struttura sperimentale pensata come punto di accumulo della cura comunitaria (la comunità che cura se stessa) affinché la comunità stessa si renda consapevole e capace di sviluppare una terapia delle anime che abbia valore per ciascun membro della comunità e particolarmente per i giovani destinatari-interlocutori-soggetti del presente progetto.

Sotto questo aspetto il “Giardino dell’animo” più che essere una struttura semiresidenziale, un centro diurno, un servizio sollievo è un centro sperimentale, permanente, polivalente, aperto per la cura delle anime al cui centro c’è lo scambio solidale con la comunità di vita.

Per la gestione di un simile centro sperimentale si adotteranno alcune indicazioni della CBR (Community Based Rehabiltation – OMS 1978) quali la presenza di “professionisti complementari”.

Il professionista complementare nell’accezione di questo progetto è un membro della comunità che dopo un processo di formazione iniziale, che lo abiliti a partecipare ai processi di cura, diventa membro effettivo del gruppo di cura e partecipa ai gruppi di riflessione che sostengono la funzione di cura (gruppi Balint), sviluppando una specifica attività di mediazione con la comunità territoriale.

I professionisti complementari possono essere impegnati a diversi livelli di intensità: nella relazione con i giovani interlocutori o nella relazione con il territorio. Il professionista complementare potrebbe accompagnare i giovani nei processi di partecipazione al lavoro stabilendo con le imprese un patto a tre in cui il giovane con disagio, il professionista complementare stesso e l’imprenditore stabiliscono un impegno reciproco per sostenere la partecipazione al lavoro. Il patto sarebbe costruito nei due anni di durata del progetto e tenuto in vita, sostenuto dalla comunità, nel periodo successivo.

Il progetto prevede l’attività congiunta in due sedi:

la prima a Belsito basata prevalentemente sulla coltivazione e sulla rivalutazione di antichi mestieri; la seconda a Lungro dove si realizzeranno periodi di attività a contatto con la natura, laboratori artistici di varia natura, attività artistico-espressive con la comunità.trame passato 04

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L’intero progetto è innovativo in quanto affronta il problema della salute mentale quale manifestazione estrema di un disagio della convivenza civile e propone quindi i Centri Sperimentali per la cura delle anime come servizio alla comunità ed occasione per questa di mobilitarsi e ripristinare la funzione di cura in senso socialeDSC05566