Barbiana 27 maggio 2017
Sono salito a Barbiana. Quasi un’ora di salita piuttosto ripida nell’ultimo tratto. Ero in compagnia di Marco con cui ci siamo scambiati molte idee su ‘don Milani oggi’. Marco Bontempi è il presidente del consiglio d’amministrazione dell’Istituzione don Milani del comune di Vicchio ed è un ricercatore sociale all’Università di Firenze. Concordiamo sul fatto che celebrazioni agiografiche finiscono per tradire lo spirito e la lettera delle cose che faceva Don Milani.
Mentre salivo, quella strada, la stessa che Don Milani ha percorso la prima volta nell’ottobre 1954 sotto una pioggia battente, pensavo ad una strada molto simile che percorrevo insieme a mia madre nel 1952 per raggiungere la frazione di Ischia dove lei insegnava, ed io ero allievo della pluriclasse ed insieme il baby sitter di mio fratello. Pensavo a quando ci sorprendeva la pioggia e senza poterci riparare in alcun modo arrivavamo al paese – in tutto una decina di case – zuppi d’acqua.
C’ero già stato a Barbiana arrivando in auto a qualche centinaio di metri, ma arrivarci a piedi fa apprezzare meglio in significato di queste tre case isolate e di quelli che stando in questo luogo isolato hanno abbracciato col loro pensiero e la loro scrittura l’intero mondo del tempo. E’ da questa percezione fisica dell’isolamento, della lontananza da mezzi e strutture della grande città che si coglie al meglio la potenza del lavoro educativo, del riuscire ad evadere dalla propria condizione pur restando esattamente nel luogo che il destino ci ha assegnato.
Mentre parlavano il sindaco e Marco e ricordavano i cinquanta anni dalla morte di don MìIani, ho improvvisamente realizzato che sono anche cinquanta anni da quando ho conosciuto, attraverso la Lettere a una professoressa, la figura di don Milani. Sono i cinquanta anni che mi separano dalla conoscenza di Carla che oggi non c’è più. E’ stata lei che mi ha introdotto a Don Milani come a tante altre cose importanti per la mia vita e per la vita di quelli che abbiamo curato durante quarant’anni di vita in comune. Oggi è la prima volta che ripercorro la strada che lei aveva percorso tra il 65 e il 67 in pellegrinaggio a questa figura che già allora era un riferimento per chi voleva fare scuola vera. Fu anche lei a farmi leggere la lettera che io divulgai tra tutti gli studenti che incontravo durante le occupazioni dell’università.
Dunque oggi si celebra per me più di un cinquantenario.
L’ho detto quando è stat il mio turno di parola dopo il sindaco e Marco Bontempi.
C’erano 600 persone contate una ad una e forse almeno un centinaio non conteggiate. Ci siamo detti: è una passeggiata più che una marcia e strada facendo abbiamo riflettutto che il passaggio da un marcia ad una passeggiata – con un numero doppio di partecipanti rispetto all’anno passato – segna il passaggio da una situazione in cui grandi organizzazioni e narrazioni diventano il contenitore dei pensieri e delle iniziative dei singoli e dei gruppi ad una situazione in cui tutti ricercano – e cercano di realizzare – una narrazione in cui ci sia posto per le nuove generazioni e per coloro che se ne prendono cura.
Il pensiero ed il lavoro di Don Milani sostituiscono un vero continente in cui si trovano pensieri importanti su decisive questioni, ma oggi forse è necessario per tutti i presenti andare via con un messaggio leggero da portare anche se pesante da realizzare. Di molte parole chiave ne riprendo solo due: amore e sovranità.
Ripeto qui ciò che da diversi anni dico agli educatori con cui collaboro: la relazione educativa è una relazione d’amore. L’amore pedagogico che fa crescere la persona intera e che muove insieme il maestro e gli allievi. Bisogna ritornare ad affermazioni elementari come questa se si vuole trovare la strada dell’educazione. Don Milani – non lo dimentichiamo – è stato un educatore e non un professore: si occupava della crescita dei ragazzi a tutto campo, non si limitava allo sviluppo della mente razionale. Se vogliamo occuparci della crescita dei giovani dobbiamo partire da qui, se no restiamo seppelliti da montagne di carte, inermi ed assenti di fonte alle difficoltà che ogni giovane si può trovare ad affrontare.
Qualcuno ha riferito che lui stesso in punto di morte abbia detto: “ho amato più loro che Lui”, e credo che questa sia la massima espressione di una religiosità ’laica’ di una fiducia nell’uomo che è più forte di ogni altro sentimento. Dico che è un’affermazione universale e laica perché ancor aoggi incontriamo educatori e docenti che sono più appassionati di una disciplina, di un’idea politica, di una immagine corretta di sé che non dell’allievo che hanno di fronte e questo impedisce a tante brave persone di diventare anche dei buoni educatori.
La seconda parola è ‘sovranità. Ne ha già parlato Marco Bontempi, ma vorrei ripetere quasi alla lettera le parole di don Milani: gli onorevoli padri costituenti pensavano che noi tutti si volesse cucir budella (chirurghi ndr) o diventare ingegneri. Troppo poco, noi siamo molto più ambizioni: vogliamo essere sovrani.
Essere sovrani dei propri pensieri, capaci di riflettere su di sé, connettersi alle esperienze e alle emozioni più profonde, riassume nel migliore dei modi il fine dell’educazione. In una sola frase don Milani ha dato una sistemata a quelli che riducono la missione dell’educazione a fini pratici di conferma o scalata sociale, a quelli che si sentono politicamente a posto perché proclamano l’eguaglianza e la possibilità per tutti di raggiungere le posizioni sociali più importanti.
Educatori e docenti devono viaggiare leggeri se no si periscono nelle giungle istituzionali, nel chiacchiericcio dei media, confusi dalle classificazioni, psicologicamente sudditi di chiunque possa esibire un dolore personale o una ferita sociale.
A Barbiana, che molti stanno cercando di conservare nella sua semplicità ed autenticità, bisogna andar via portando con sé un messaggio tanto semplice quanto potente, come sono state le persone che ho ricordato all’inizio di questo intervento.
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Giovani Sovrani
Bellissima lettera Cesare! Profonda. Come sempre.
Quest’anno il 2 settembre “cammineremo” la strada verso BARBIANA rileggendo “lettera a una professoressa”. Lo faremo a gruppi, incrociando insegnanti che provengono da tutt’Italia. Sarà un seminario camminato, itinerante, diverso, perché come dici tu, salendo a piedi in quei luoghi si capisce meglio.
Tu sarai con noi vero? Abbiamo bisogno di confrontarci con la tua profondità . Come sempre!
Grazia e lo staff di Insegnareducando