Diventare sovrani

Per la 29a Festa Nazionale di Macondo ci è stato chiesto un contributo sul tema della fiducia e soprattutto se possiamo considerare Don Milani un precursore dei Maestri di Strada. Queste alcune idee in proposito.

Fiducia

Fiducia nel futuro, fiducia nella scienza, fiducia nell’economia di mercato, fiducia nel governo del mondo, fiducia negli insegnanti, fiducia negli adulti …..
Se il nostro desiderio di vivere fosse legato alla fiducia nelle istituzioni sociali ci sarebbe ben poco da sperare.
Noi pensiamo invece al sentimento indivisibile che è parte fondante dell’essere uomini: la fiducia nell’uomo stesso, nelle relazioni e nei legami che la incarnano.
Questa fiducia è all’origine di ogni altra fiducia e soprattutto genera la fiducia in sé che è intrecciata indissolubilmente con il desiderio, il quale muove ciascuno al cambiamento di sé.
Nella visione dei Maestri di Strada l’educazione non consiste nell’arginare la vitalità giovanile ma al contrario nel sostenerla; educare è aiutare i giovani a trovare i punti di applicazione per le proprie energie e la propria vitalità. Per questo i giovani non vanno protetti: protezione è spesso sinonimo di limitazione, e proibizioni, i giovani hanno bisogno di attivarsi avendo fiducia di essere efficaci e che la propria esistenza sia significativa, stia a cuore a qualcuno.
La fiducia non deriva da un atto individuale e volontaristico, ma si costruisce in una comunità: è un sentimento collettivo alla base della comunità che rappresenta infatti il luogo delle ‘obbligazioni reciproche’, il luogo in cui ogni azione compiuta per l’altro ritorna a sé, è il luogo della reciprocità. La reciprocità è la linfa circolante che nutre una intera comunità, se la reciprocità è limitata a relazioni duali e non circola la fiducia resta una pianta fragile. Ogni attività dei Maestri di Strada punta ad offrire ai giovani la possibilità di sentirsi importanti e significativi per la comunità. Nel rispecchiamento tra individuo e comunità si rinforza la fiducia in sé, la convinzione di avere le risorse per vivere una vita buona. Questa metodologia nata in modo indipendente ed originale è molto diversa da quella fondata su figure carismatiche proprio perché offre ai giovani un ambiente umano che garantisce quella continuità nello spazio e nel tempo che non può essere offerta da una singola personalità.
La fiducia nella comunità aiuta a resistere, ossia argina l’invadenza del mondo delle cose, dei bisogni materiali indotti dal mercato, consente di resistere alla reificazione della coscienza che porta a considerare naturale ciò che non lo é. La chiamiamo pedagogia della resistenza che aiuta a conservare l’umano e la solidarietà umana senza della quale non possiamo dirci uomini.

Nelle periferie, per i giovani che vivono una vita a volte deviante questa pedagogia resistente assume un andamento ‘itinerante’, un movimento pendolare tra spazi protetti e gli spazi aperti di territori senza né legge né sicurezza.
Per “spazio protetto” intendiamo uno spazio in cui sia possibile allentare le maglie della paura e dell’odio e questo è possibile quando adulti forti organizzano uno spazio in cui la parola e il pensiero siano possibili perché si riescono a contenere le azioni senza pensiero.
Per molti l’ideale di una buona educazione sarebbe quello di tenere i giovani in un ambiente separato dalla realtà in cui sono nati. Al contrario i Maestri di Strada ritengono vitale questo movimento pendolare per sviluppare nei giovani la capacità di elaborazione di esperienze difficili, per essere liberi è necessario elaborare una dolorosa realtà interiore che altrimenti grava sull’animo della giovane persona per tutta la vita. Gli allievi che hanno subito un danno di motivazione, che hanno vissuto o hanno adottato comportamenti devianti sono da noi accompagnati a superare le paure ed i vincoli che li hanno portati a comportamenti che danneggiano gli altri e se stessi.
Ci sembra quindi di poter condividere l’idea che una seconda opera formativa per i giovani devianti non possa avvenire nel chiuso di una istituzione – costrittiva o meno che sia – ma debba avvenire seguendo questo doppio movimento in cui anche le parti ‘cattive’ – prigioniere di sequenze di atti senza pensiero – sono assunte come proprie e integrate nello sviluppo di una persona autentica ed intera.
La metafora che usiamo è quella del ‘viandante’ che raccoglie risorse strada facendo, che ha fiducia che coloro che incontrerà siano degli amici pronti ad aiutarlo nell’esplorazione di un mondo che non conosce.

Il priore di Barbiana

Siamo a cinquanta anni dalla morte di don Milani ed è indispensabile chiedersi quanto tutto questo possa essere considerato ‘milaniano’
Per quello che ci riguarda di Don Milani non interessano le tecniche che sono ottime ma in tutto simili a quelle di migliaia di docenti prima e dopo di lui. Ci interessa la sua pedagogia, il modo in cui sostiene i processi di crescita dei giovani e prendiamo spunto da quattro parole chiave: amore, parola, sovranità, responsabilità.

Amore

La scuola non può esser fatta che per amore (cioè non dallo Stato).(Don Milani)

La relazione educativa è una relazione d’amore: lo andiamo dicendo e praticando da tempo, l’amore pedagogico è uno speciale amore che consente di “sognare l’altro come oggi non è” che esclude ogni forma di possesso, ed è un amore a scadenza: l’amore è tanto più efficace quanto più riesce a far crescere l’altro fino al suo distacco. E’ un amore costruito, frutto di conoscenza ed empatia che si nutre nello specchiamento di maestri ed allievi.
Don Milani stesso ed in seguito Ernesto Balducci (dei frati Scolopi ed importante innovatore del pensiero cristiano), erano convinti che lo Stato non potesse attivare una scuola fondata sull’amore:

“Il limite di fondo della proposta milaniana è oggi più visibile: non è possibile chiedere alla scuola-istituzione quel che invece può offrire una scuola spontanea animata da un maestro ‘carismatico’. In quanto è un servizio reso a tutti i cittadini, secondo le regole oggettive dello stato di diritto, la scuola di stato non può essere progettata facendo affidamento sulla eventualità della ricchezza soggettiva degli educatori”. (Ernesto Balducci)

Invece è proprio su questo punto che noi Maestri di Strada abbiamo l’ambizione di avere realizzato in venti anni di attività una scuola in cui ‘la ricchezza soggettiva degli educatori’ viene costruita con metodo perché pensiamo non più al docente singolo, ma ad un gruppo capace di far circolare al suo interno la forza dei legami.
Per anni mi è stato ripetuto che certe cose erano possibili solo grazie al mio carisma personale. Oggi ci sono almeno cinquanta giovani persone cresciute nel metodo dei Maestri di Strada che hanno conquistato il carisma necessario ad interagire con altre giovani persone ai margini della società e sempre più spesso sono anche capaci di interagire con quelle persone che nonostante il benessere materiale nutrono profonde angosce esistenziali. Questo cambiamento non è frutto di una trovata geniale di qualcuno o della vocazione profetica di un altro, ma frutto di una scienza dell’animo umano e delle interazioni nei gruppi umani che ci consente di elaborare insieme le nostre difficoltà e quelle degli allievi in un processo autenticamente maieutico in cui nuovi pensieri nascono e si nutrono nell’utero accogliente di un gruppo umano solidale.

Parola

“dare tutti gli usi della parola a tutti”.(Don Milani)

La seconda parola chiave è ‘parola’. Noi abbiamo adottato senza riserve l’idea che occorre “dare tutti gli usi della parola a tutti”. Don Milani ha particolarmente sviluppato l’uso della parola necessaria a non sentirsi subalterni, a non sentirsi inferiori a chi comanda. Noi stiamo sviluppando particolarmente quell’uso della parola che serve ad esprimere il sé; la parola necessaria a mantenere il contatto della mente razionale con le radici emotive dell’esistere. Solo restando in contatto con le emozioni proprie – con la lingua nativa – si ha la forza e l’ardire di non subire la voce dei potenti, di non subire le voci della folla.
Quello che abbiamo appreso attraverso la riflessione psicologica è che lo spazio della parola coincide con lo spazio di pensiero e che il pensiero è possibile solo quando nell’animo c’è spazio liberato dalla paura e dall’odio. C’è un legame tra l’esistenza di una comunità riflessiva in cui è possibile fidarsi l’uno dell’altro e la possibilità di prendere la parola. Ed insieme a questo sostegno sociale allo sviluppo di una interiorità libera, noi consideriamo che sia decisiva per la crescita personale l’esistenza di ‘spazi traslati’ in cui sia possibile ritrovarsi attraverso i linguaggi artistici. La poesia, l’arte, la grande letteratura sono in sé educativi e questo aspetto della parola ci pare che oggi debba essere centrale rispetto ad una parola legata alle necessità dello ‘scontro di classe” che invece era al centro degli anni di Don Milani.

Sovranità

Gli onorevoli costituenti credevano che si patisse tutti la voglia di cucir budella o di scrivere ingegnere sulla carta intestata (…) Tentiamo invece di educare i ragazzi a più ambizione. Diventare sovrani! Altro che medico o ingegnere” (Don Milani)

Per quanto ne so è una delle frasi meno citate di Don Milani eppure è forse la più importante. Ripetuta in termini attuali significa: la scuola non è un ascensore sociale, serve a sé, serve a diventare sovrani. Ora abbiamo imparato la parola empowerment e altre parole più tecniche del tipo: “accrescere il potere d’accesso alle risorse proprie”, ma il concetto è quello: stabilire la sovranità su di sé, diventare padrone delle proprie risorse, non accettare in nessuna forma di essere eterodiretti. Questo è un vero sogno, irrealizzabile, ma la cui forza motrice è potente e ci consente di convivere con un mondo sempre più ingiusto, sempre più assurdo. Se la scuola italiana fosse in grado di adottare questo “obiettivo onirico” prima degli obiettivi didattici, dei programmi e di tutti gli arnesi valutativi forse i docenti avrebbero finalmente la bussola educativa che oggi non hanno.

Responsabilità – Ognuno deve sentirsi responsabile di tutto

Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande I care. E il motto intraducibile dei giovani americani migliori. ‘Me ne importa, mi sta a cuore’. E il contrario esatto del motto fascista ‘Me ne frego’.” (Don Milani)

 «L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balìa di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti»  (Hannah Arendt)

C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato. (Danilo Dolci)

Sentirsi responsabili di tutto (don Milani) significa sentirsi responsabili dell’assurdo ch’è nel mondo (Danilo Dolci) e al tempo stesso amarlo per amore dei nostri figli e per non lasciarli ‘in balia di se stessi’(Hannah Arendt). Don Milani ha costruito la sua esperienza in un tempo in cui era ancora forte la speranza di un cambiamento sociale radicale e si chiedeva a tutti di sentirsi responsabili e di impegnarsi in quella direzione. Oggi noi siamo impegnati a ricostruire la speranza in un mondo in cui l’assurdo è troppo presente.
La parte più difficile del lavoro dei Maestri di Strada è restare vicini ai giovani anche quando l’assurdo li colpisce in pieno volto, anche quando l’assurdo proviene dalle persone che dovrebbero amarli, anche quando proviene dalle persone che dovrebbero educarli. E’ dura dover rispondere di questo assurdo, eppure è solo questo che serve a sviluppare la fiducia: i nostri giovani credono in noi perché non fuggiamo, non ci dissociamo dal mondo così come è, ma cerchiamo di venirne fuori insieme. E qui cito di nuovo Don Milani: la politica è l’arte di venirne fuori assieme ed in questo senso il progetto dei Maestri di Strada è il più politico che ci sia, all’origine di una nuova convivenza civile. E’ un sogno ma serve ad andare avanti.

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