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L’integrazione dell’apprendimento formale e informale

Congresso annuale SSRE 2013
“L’integrazione dell’apprendimento formale e informale“
2013-08-22 14.29.1721-23 agosto 2013, Università della Svizzera italiana, Lugano

EDUCARE LE PERIFERIE.

INTEGRAZIONE DEI SAPERI E NUOVE MEDIAZIONI
NELLE ATTIVITÀ DEI MAESTRI DI STRADA

Santa Parrello, Cesare Moreno
Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Psicologia e Scienze dell’educazione
Università degli Studi di Napoli Federico II
Associazione ONLUS Maestri di Strada

Premessa

Il nostro contributo muove dall’esperienza dei Maestri di Strada, associazione di educatori, docenti e psicologi che ricercano e sperimentano metodologie educative per sostenere la crescita dei giovani e la loro cittadinanza attiva. In particolare i Maestri di Strada si occupano di prevenire e combattere la dispersione scolastica.

L’integrazione fra saperi formali, non formali e informali è sicuramente fra gli strumenti e gli obiettivi del nostro lavoro dentro le scuole: qui proveremo a discuterne soprattutto in relazione alla possibile efficacia dei costrutti pedagogici che stiamo sperimentando.
In primis intendiamo chiarire in breve alcuni termini della questione.

Sappiamo che la necessità di distinguere le categorie del sapere formale dalle altre rimandano alla separazione storica e conflittuale dei luoghi della vita, dell’educazione e del lavoro, che prima della rivoluzione industriale e della scuola di Comenio coincidevano (si pensi ad esempio ad una famiglia di contadini-filatori-tessitori).

Oggi a ciascuno spazio sociale sembra corrispondere invece una specifica modalità di apprendimento. In condizioni sociali e psichiche sufficientemente buone spazi e modalità di apprendimento dialogano e si rafforzano a vicenda. Ma secondo il “Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente” (Bruxelles, 30.10.2000 SEC [2000] 1832): “l’apprendimento informale è il corollario naturale della vita quotidiana. (…) non è necessariamente intenzionale e può pertanto non essere riconosciuto, a volte dallo stesso interessato, come apporto alle sue conoscenze e competenze”.

In altri termini può accadere che il sapere informale resti inconscio, taciuto o messo a tacere, e non riesca ad alimentare l’appetenza alla conoscenza, allo studio, al lavoro come trasformazione del reale; e che l’apprendimento formale non incida in modo sostanziale sulle condotte personali e sociali, ossia non assuma un significato nella vita delle persone e non diventi attivatore di cittadinanza. E’ quanto accade nell’insuccesso formativo, definito su una base psichica piuttosto che su indicatori di prestazione, e nella dispersione scolastica, che si produce quando una condizione di emarginazione interiore si sposa con condizioni sociali di esclusione cronica.

Il nostro contributo si articola intorno a tre nuclei

  1. L’insuccesso formativo e la dispersione scolastica sono fenomeni complessi che non riguardano solo la povertà o l’ esclusione sociale, ma rimandano a grandi questioni, come il disagio della civiltà (Freud, 1929), la crisi dei garanti metapsichici e metasociali (Kaes, 2005), la trasformazione delle dinamiche di trasmissione intergenerazionale (Recalcati, 2011; Parrello, 2012; 2013,), nonché alla mancanza di desiderio di apprendere che si configura anche come blocco degli apprendimenti formali (Parrello, Moreno e Centro, 2012);

Per prevenire l’insuccesso formativo e la dispersione, per curare i disagi esistenziali che sono all’origine dell’inappetenza cognitiva è fondamentale:

  1. riconoscere e valorizzare tutte le conoscenze acquisite in modo non strutturato – non formali e informali (Ajello, Belardi, 2007), ma che possono essere ricondotte a saperi formali. La rilevazione di queste competenze – minime o cospicue che siano – ha un grande rilievo in quanto offre ai giovani la possibilità di riconoscersi in possesso di un patrimonio di sapere che non gli può essere sottratto . E’ ciò che un comico napoletano chiamava ‘ricomincio da tre’ (Troisi), proposizione rivoluzionaria per chi ritiene che ogni giorno ricominci da zero. Negli scritti dei nostri giovani allievi è possibile riconoscere quanto questa valorizzazione vada molto oltre il rilievo pratico o lavorativo assumendo un ruolo di incoraggiamento personale, di vero empowerment.
  1. riconoscere e valorizzare nel vasto mondo dell’informale (assolutamente maggioritario) quei saper essere e saper fare – spesso taciti, a volte indicibili – che riguardano la persona e le sue modalità di apprendimento e di relazione: ad esempio la capacità di vincere l’angoscia per l’ignoto, la capacità di entrare in relazione con gli altri per cooperare, la creatività. Questi apprendimenti si realizzano solo all’interno di relazioni sufficientemente buone, di cura e fiducia, in grado di svolgere una adeguata funzione di scaffolding (Winnicott, 1965; Vygotskij, 1934; Bruner, 1996; Melazzini, 2011). L’assenza di relazioni sufficientemente buone e di strutture di sostegno determina essa stessa un apprendimento: la convinzione di non poter apprendere, di non avere risorse, di essere predestinati alla sconfitta. Inutile tentare di migliorare le metodologie di insegnamento senza occuparsi di questi aspetti.

saperi informali ENLa missione dell’Associazione Maestri di Strada

Nella scuola italiana, che attraversa una fase di crisi strutturale di senso (Bottani, 2013), affrontare il problema del successo formativo in modo sistemico ed efficace continua a incontrare numerosi ostacoli, rispetto ai quali è importante interrogarsi e riflettere. Anche a tale scopo l’Associazione Maestri di Strada, dopo aver operato per dodici anni fuori dalla scuola attraverso il Progetto Chance (scuola della seconda occasione), ha scelto di lavorare dentro la scuola con il Progetto E-vai (Moreno, 2000, 2009; Moreno, Valerio, 2004; Melazzini, 2011; Parrello, Moreno e Centro, 2012).

 

Il Progetto E-vai è un modello di sperimentazione educativa integrata che – a distanza di tre anni – sembra essere in grado di attivare alcuni cambiamenti virtuosi in contesti ad alto tasso di abbandono (scuole medie e superiori della periferia est di Napoli); esso fornisce inoltre importanti elementi di comprensione di un sistema che non sembra essere in grado di aprirsi alla molteplicità delle esperienze di apprendimento, e anzi radicalizza le pratiche formali, come se si trattasse di veri e propri strumenti di difesa dell’organizzazione e dei singoli che la abitano (Beck, 1997; Campione, Tagliagambe, 2008; Quaglino, 2011; Parrello, 2012; Bottani, 2013).

 

Già a metà degli anni ottanta Bruner (1983) segnalava che se la scuola propone soltanto un sapere, la cui pertinenza peraltro non risulta evidente né agli alunni né agli insegnanti, i modelli degli adulti diventano incomprensibili, impotenti come guida e fonte di ispirazione per crescere.

 

Il problema è più evidente e grave nelle scuole che operano in contesti di emarginazione o violenti, in cui la distanza fra saperi non formali e formali può essere maggiore o assumere qualità particolari (Rogoff, 2004), che possono configurarsi come relazioni “clandestine”, illegittime: si pensi ad esempio alla distanza fra codici di comunicazione o fra saper fare e saper dire. Questa distanza è stata ampiamente esplorata e combattuta dagli anni sessanta in poi (pensiamo a don Milani, alle ‘vestali della classe media’, a “Pigmalione in classe” e ad una vasta letteratura grigia sull’argomento): nasce da quel dibattito l’idea ancora predominante che occorrano didattiche e linguaggi “alternativi” per avvicinarsi alla cultura dei giovani.

Secondo il nostro punto di vista questo è solo l’aspetto di superficie di una distanza molto più grande: i saperi formali sono proposti troppo spesso in un modo che non è significativo per la vita dei giovani; imponendo una scissione tra vita razionale e vita emozionale foriera di grandi disagi. Si pensi ad esempio a come la scuola continua a considerare estranea al processo educativo la condotta dei suoi allievi, limitandosi a reprimere l’indisciplina (facendo, come diceva Don Milani, un ospedale per curare i sani).

 

Nei contesti disagiati anche sono costruiti con difficoltà in famiglia alcuni di quelli che Bruner (1983) definisce saper fare affettivi, che consentono di andare avanti anche in caso di insuccesso: “l’orientamento verso il futuro è un “saper fare” che si coltiva. (..) Se non è vero che esistono delle culture della povertà, si può quanto meno affermare che esistono delle sotto-culture della disperazione, nelle quali sembra che alcuni gruppi abbiano rinunciato e abbandonato qualunque speranza di riuscire a controllare il proprio destino” (Bruner, 1983 tr. it. 1992, p. 131). Ma come ricostruire la fiducia in sé nella relazione con adulti insegnanti che a loro volta disperano di poter incidere positivamente nella vita dei loro allievi?

 

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Ritornare alla centralità della formazione umana

Negli ultimi venti anni scuola e università non sembrano essersi modificate in questa direzione, facendo delle prestazioni professionali l’unico obiettivo del sapere formale e specialistico, senza valorizzare le competenze non formali e senza considerare che nelle fasi di crisi e difficoltà diventano molto più importanti le competenze informali, tacite, emozionali e relazionali, che consentono di fronteggiare la crisi economica e le frustrazioni derivanti da un mercato del lavoro stagnante o in recessione.

Già nel 1997 Beck svelava le incongruenze di questo sistema d’istruzione e sosteneva la necessità di “despecializzarlo” e “deprofessionalizzarlo” per rifondare il valore in sé dello studio e della formazione umana, onde evitare il rischio di una “guerra civile molecolare” derivante dallo scontro fra giovani con competenze culturali sufficienti a scegliere la propria vita e giovani esclusi, senza accesso al futuro (Pietropolli Charmmet, 2012; Parrello, in press).

Riportiamo il racconto di un momento significativo in tal senso accaduto durante il lavoro di E-vai:

Un giorno andammo in gita in Irpinia con i ragazzi di seconda del Petriccione, prima a visitare le pale eoliche, poi a mangiare in un agriturismo. Mentre eravamo in autobus i ragazzi videro un posto di blocco dei carabinieri… scherzando gli dissi che secondo me, tra di loro pure qualcuno si sarebbe trovato con una divisa a fare il poliziotto o il carabiniere… “Ma quando mai, qua finiamo tutti carcerati e uno di noi muore in una rapina”. (ANDREA, laboratorio di giornalismo scuole superiori)

Bruner e Beck invitavano scuola e università ad un cambiamento drastico che, possiamo affermare con certezza, non c’è stato.

Da un lato il mancato riconoscimento delle abilità maturate nei vari contesti non formali assume il carattere vistoso dello spreco, della distruzione di risorse: le commissioni europee hanno giustamente individuato nelle competenze non formali un giacimento di ricchezza non utilizzato, negato o distrutto che potrebbe avere un ruolo importante nello sviluppo delle società e nelle carriere individuali (Moreno et al., in press). Dall’altro anche i processi di insegnamento-apprendimento dei saperi formali vacillano e non solo nelle scuole di periferia: rimandando, come su accennato, alla questione della trasmissione intergenerazionale, della crisi dell’autorità paterna, della mancanza di attrattiva della vita adulta (Parrello, 2012; 2013).

 

Ne consegue la necessità di individuare modelli educativi in grado di

  1. dar voce e dignità a tutti i saperi che a scuola restano esclusi o messi a tacere in nome di una ortodossia formale che non ha alcun senso se non quello difensivo;
  2. configurare la scuola come spazio e tempo di relazioni che consentano l’autenticità:
  3. considerare i conflitti con i giovani e gli attacchi all’ordine della scuola come manifestazione estrema di un disagio esistenziale che impone innanzitutto agli adulti una riflessione su di sé e sul futuro.

Un simile modello educativo è in contrasto con l’impianto della scuola e con la cultura professionale dei docenti tanto che molte volte ci è sembrato di trovarci dentro un’istituzione alla quale ben si adatta l’espressione che Beck usa per l’università: “una sontuosa recita della follia, ordita dal sistema o dagli adulti” (1997, p. 110).

Tuttavia il cambiamento deve al momento realizzarsi nelle condizioni date e noi Maestri di Strada ci siamo proposti di agire nel contesto delle scuole anche per capire l’origine profonda e sistemica della resistenza istituzionale ad adottare metodologie educative accoglienti.

Come funziona il progetto E-VAI

Il Progetto E-vai (che ha promosso e ottenuto intese e convenzioni con comune e università ma è sostenuto interamente da finanziamenti privati) si svolge da tre anni nella periferia orientale di Napoli, con l’obiettivo di prevenire e ridurre il rischio di insuccesso formativo e abbandono scolastico. Partendo dall’ipotesi che le scuole abbiano difficoltà ad accogliere e gestire i saperi informali e che non riescano a sostenere i docenti nella loro funzione di adulti di riferimento, il Progetto E-vai mette in campo educatori specializzati, seguiti da psicologi e pedagogisti esperti, che attivano sistematici spazi di riflessività gruppale.

Gli interventi si svolgono nelle classi terze di 9 scuole medie inferiori e nelle classi prime e seconde di 2 istituti professionali (per un totale di 450 allievi, di cui almeno 100 a rischio di abbandono), col coinvolgimento parziale di altri istituti (ad es. quello agrario) e di un centro giovanile territoriale altrimenti sottoutilizzato.

Nel protocollo d’intesa firmato il 16 ottobre 2012 con le scuole e la Direzione Generale dell’Istruzione in Campania vengono così riassunte le linee d’azione del progetto:

“Individuando come obiettivi la promozione della coesione sociale, la prevenzione della dispersione scolastica, e il successo formativo degli allievi, le linee d’intervento saranno così articolate:

  1. Sostegno alla persona

Rinforzo dell’identità dell’autostima, dell’autoefficacia, per giovani, genitori ed operatori, con particolare attenzione nel rinforzare il gruppo;

  1. Sostegno all’insegnamento

collaborazione con i docenti nella conduzione della lezione, nello sviluppare attività laboratoriali, nelle attività didattiche in situazione, nel creare ambienti di apprendimento particolari per allievi in difficoltà;

  1. Sostegno all’apprendimento

Attività co-progettate e condivise con i docenti per sostenere lo studente nel processo di apprendimento e di studio personale

I laboratori come opifici in cui si realizza l’integrazione degli apprendimenti

Dopo aver presentato ai dirigenti e all’intero corpo docente il progetto, gli insegnanti hanno partecipato ad incontri di co-progettazione.

Le attività dell’anno scolastico 2012-13 si sono articolate come segue:

  1. Cura educativa, didattica dell’accoglienza, dell’ascolto, della mediazione: si svolge attraverso la presenza in aula, nei corridoi, nei laboratori tradizionali della scuola e in strada di educatori, a sostegno dei processi di insegnamento-apprendimento, per facilitare le relazioni verticali (coi docenti) e orizzontali (gruppo classe) e l’alleanza scuola-famiglia (1920 ore nelle scuole medie e 4000 nelle scuole superiori)
  2. Laboratori per apprendere, a integrazione delle discipline curriculari (1440 ore)

(Farello, Bianchi, 2001; Siety, 2001; 2012; Quaglino, 2011)

  1. Matematica enigmatica: matematica non è noia + fatica, ma meraviglia + sfida
  2. Pazzi per le scienze: esperimenti “pazzi” con materiali poveri
  3. La musica attraversa la storia. La storia attraverso la musica – Musica, cinema, gioco e discipline storiche –
  4. Laboratorio di giornalismo – Raccontarsi e raccontare ciò che ci circonda
  1. Laboratori delle pratiche professionali (180 ore)
    1. Terra Terra – Laboratorio di agricoltura biologica urbana e trasformazione dei   prodotti
    2. Laboratorio di falegnameria
  2. Laboratori di cittadinanza, comprendono attività sociali in classe (focus group, circle time, gruppi di lavoro) e attività territoriali quali il Laboratorio Territoriale delle arti che a sua volta comprende:
    1. Laboratorio teatrale
    2. Laboratorio di arti figurative
    3. Laboratorio di trucco scenico
    4. Laboratorio di murga (percussioni)

I laboratori:

cominciano da esperienze che siano legate al quotidiano, per poter meravigliare e proporre rompicapo fuori dagli schemi in cui i giovani si sono sentiti fino ad oggi perdenti;

promuovono la cooperazione tra i ragazzi e nel gruppo più largo che comprende docenti, esperti, educatori, tecnici;

utilizzano la presenza degli educatori, gli stessi che sono presenti nelle classi; questa garantisce che tutto ciò che viene appreso in un contesto non formale, piacevole e di cooperazione sia poi trasferito – per quanto possibile – nei contesti formali.

 

I laboratori – scolatici e territoriali – hanno dunque l’obiettivo di far emergere, individuare, valorizzare e collegare fra loro i saperi cognitivi non formali, portandoli alla consapevolezza degli allievi e degli insegnanti, consentendo la creazione di spazi e tempi per osservarsi e osservare, ascoltare, comprendere.

Tutte le attività mirano a far emergere ed ampliare   i saperi non formali, ma soprattutto taciti, cioè tutto quel tesoro di saper essere e saper fare, affettivo e cognitivo, che spesso i nostri adolescenti scelgono – consapevolmente o inconsapevolmente – di nascondere a se stessi e agli altri per non rischiare l’insuccesso, per non affrontare il senso di vergogna o la paura (Melazzini, 2011).

Ma soprattutto il lavoro educativo consiste nel lavorare a stanare ed elaborare quelle conoscenze tacite ed inconsce che impediscono l’apprendimento. La presenza degli educatori – ma tutti gli operatori sono coinvolti in questo compito – serve a promuovere la presa di coscienza personale attraverso la presenza e la responsabilità educativa. Esserci e rispondere è l’essenza del lavoro educativo quando si è in presenza di una opposizione tacita all’apprendimento, in presenza di dolori paralizzanti. La presenza perseverante offre ai giovani la possibilità di avere di fronte un adulto che li vede e che non sparisce; il rispondere dice ai giovani che siamo disponibili a rispondere alle loro richieste implicite ed esplicite “senza nascondere l’assurdo che è nel mondo”, (Dolci) condividendo il loro disagio quando non ci sono risposte, senza mai fuggire.

 

 

Il Progetto E-VAI mi è stato utile ad apprendere materie nuove, a dire quello che pensavo, ad esprimermi, sapendo che sarei stata ascoltata (allieva dell’IC Vittorino da Feltre)

 

Questa presenza, che ben presto i giovani imparano a riconoscere come frutto di una organizzazione e di un metodo, li rassicura e consente gradualmente di portare alla luce e alla parola ciò che finora ha impedito l’impegno nell’apprendimento. Così diventa possibile curare le relazioni fra adulti e giovani e fra allievi: i circle time e i focus groups mirano a elaborare le difficoltà nelle relazioni e a rafforzare le capacità affettive e relazionali; il gruppo e il supporto alla riflessività favoriscono in particolare il buon uso di errori, frustrazioni e insuccessi, che possono divenire attivatori di crescita.

“In questi quattro mesi sono passati davvero veloci così oggi 11/04/2013 è l’ultimo giorno del progetto E-vai. A me mi piaceva tanto perché ho imparato tante cose per esempio ho imparato tante cose dei miei amici che io non sapevo…Poi ho imparato a stare con gli amici che non sopportavo. Poi ho imparato per la mia prima volta le scienze. Spero che l’anno nuovo questa cosa ci sarà ancora ed imparare tante cose nuove”. Tina

“porterò con me un nuovo tipo di studiare e comprendere in gruppo; porterò i momenti quando ci univamo in cerchio per scambiare i nostri pareri e non lascerò niente qui; porterò la forza e la volontà di Sofia per darci coraggio e nel farci rendere conto di quanto è importante studiare e di come può essere divertente.” Sara

“In questi mesi abbiamo fatto tante cose insieme sicuramente con me porterò tutto, mi è servito tanto perché ho capito quanto è importante il lavoro di gruppo, ho capito che insieme si può arrivare a fare tutto e sicuramente grazie al progetto E-vai …, mi porterò tutto con me(…) Oggi è l’ultimo giorno che ci vediamo, tutto è stato molto emozionante ringrazio a chi ci ha dato questa opportunità e grazie al progetto,.” Flora

 

Contenere il disagio di chi deve contenere il disagio

L’interazione con il disagio, i conflitti, le contraddizioni espongono gli operatori a forti frustrazioni e tensioni che investono anche l’organizzazione scolastica. Di qui la necessità di cura verso tutti i partecipanti, che si realizza con riunioni periodiche – quindicinali – di intervisione, uno spazio in cui il gruppo cerca di riflettere e di elaborare gli accadimenti. In questi incontri si co-costruisce un senso per gli eventi e si restituisce ad ogni educatore il significato della difficile impresa che sta realizzando. Come usiamo esprimerci, ci ricordiamo del sogno educativo e ci ricordiamo di essere ‘costruttori di cattedrali’ e non semplici spaccapietre. Attivatori di cittadinanza e non babysitter frustrati.

 

La scelta di lavorare prevalentemente con educatori ed esperti “giovani adulti”, che a loro volta imparano a valorizzare i propri saperi informali accanto a quelli acquisiti nel loro percorso formale iperspecialistico – scolastico, universitario e postuniversitario – sembra funzionare particolarmente, forse perché fornisce agli adolescenti modelli generazionali intermedi, come sostiene Bruner (1983): i loro “saper fare” e le loro vocazioni, mostrati in maniera chiara, appropriata e personalizzata, riescono ad esercitare il potere attrattivo e seduttivo perso da molti adulti e indispensabile per riattivare il desiderio di apprendere e crescere.

Risultati

Le attività del Progetto E-vai sono monitorate grazie ad un lavoro di raccolta e archiviazione di dati quantitativi con schedatura di iscrizioni, frequenze, promozioni; raccolta di questionari per valutare specifiche dimensioni; portfoli e materiali qualitativi prodotti dai ragazzi; resoconti narrativi di osservazione delle pratiche educative ed del lavoro riflessivo. E’ in corso anche l’analisi del processo di valutazione finale del progetto svoltosi tramite questionari ad hoc e interviste destinate a operatori, docenti e allievi (Colucci, 2009).

 

QUESTIONARI DI VALUTAZIONE. Alla domanda “secondo te quali sono gli obiettivi che si propone il progetto e-vai?” hanno risposto i 350 studenti presenti a inizio giugno sui 450 coinvolti dal Progetto. 179 risposte indicano un apprezzamento del metodo che ha favorito la comprensione delle discipline, l’apprendere in modo piacevole, il lavorare insieme, riscoprire ‘cose dimenticate’, (apprendimenti informali?);

Il Progetto E-vai ha come obiettivo …

  • è servito ad agliutarci nelle materie e farci ascoltare l’uno con l’altro e capire le proprio opignoni (gli errori di ortografia rendono ancora più preziosa questa dichiarazione)
  • Sono secondo me, aiutarci nello studio così riusciamo a migliorare a scuola, conoscere meglio i nostri pareri, sapere qualcosa di noi e risolvere i nostri problemi
  • di stare insieme, di esprimere le proprie opinioni con gli altri
  • di imparare a lavorare insieme come un gruppo, dimostrare agli studenti che ci sono altri modi di imparare senza i libri
  • per mantenere il ricordo e per lasciare il mio ricordo, a tutti i miei ricordi
  • Il progetto E-Vai secondo me vuole spiegarci cose che non ricordavamo e cose nuove
  • Per ci dare una mano a capire quello che avevamo fatto negli altri anni e ci eravamo dimenticati, ci ha fatto ricordare

87 risposte considerano importante l’aiuto generico ad apprendere, 36 sembrano concentrarsi sul dato strumentale della promozione e 48 non rispondono.

Dunque oltre la metà dei giovani sembra scosso dal torpore di un apprendimento non significativo e ben 50 sono restati in una condizione di sospensione non partecipante.

Abbiamo ancora molto lavoro da fare, ma i risultati complessivi ci sembrano incoraggianti.

 

Secondo te il Progetto E-vai ha come obiettivo…

aiuto 87 Aiuto in senso ampio 87
diversità del metodo 66 Accesso ai contenuti 143
capire meglio 56
piacevolezza 21
gruppo 33 Cooperazione e memoria 36
memoria 3
promozione 36 Finalità immediata 36
non sa 48 Non sa 48

 

Abbiamo delle conferme anche da parte dei docenti che hanno progettato insieme a noi: su 48 docenti oltre la metà ha apprezzato il progetto con espressioni di questo tipo:

 

Il progetto E-VAI è servito a:

  • facilitare l’apprendimento, motivare, incuriosire i ragazzi. Migliorare i rapporti tra i ragazzi e tra i ragazzi e i docenti. Collaborare nel rispetto reciproco
  • stimolare gli alunni attraverso un “linguaggio” più “vicino” ai loro interessi e con attività “pratiche” più appetibili
  • rimotivare e migliorare le capacità cooperative e collaborative degli allievi; contrastare la dispersione
  • anche se le ore sono state “in teoria” tolte all’esplicazione del curriculo, il modo laboratoriale di “fare lezione” è stato utile e vantaggioso sia per gli alunni che per i docenti

 

Qui presenteremo una breve selezione di immagini relative alle varie attività e brani tratti sia dalle relazioni finali dei nostri operatori, sia dai questionari di valutazione.

 

DALLE RELAZIONI FINALI 2012-13 dei MAETSRI DI STRADA (educatori ed esperti)

COME SI VEDONO I RAGAZZI.

 

In un circle time leggemmo la lettera di un ragazzo rapinato pochi giorni prima a Napoli, inviata al quotidiano “Il mattino”, che diceva di voler andar via dalla nostra città… molti dicevano che il ragazzo aveva preso una giusta decisione, la città è abitata da persone che fanno schifo, loro stesso sentivano di essere “schifezze”, inoltre aggiungevano che fanno bene al nord che ci insultano, lo meritiamo. STEFANO e FORTUNA, Educatori scuola superiore

 

Molto significativo è stato il lavoro sul modo in cui i ragazzi percepivano i quattro sensi rispetto al loro quartiere. Molti di loro nel loro quartiere vedono solo cose negative e sentono puzza di merda. Risulta paradossale che in un quartiere bagnato dal mare nessuno veda la sua presenza o senti il suo odore. STEFANO e FORTUNA, Educatori scuola superiore

 

Un giorno andammo in gita in Irpinia con i ragazzi di seconda del Petriccione, prima a visitare le pale eoliche, poi a mangiare in un agriturismo. Mentre eravamo in autobus i ragazzi videro un posto di blocco dei carabinieri… scherzando gli dissi che secondo me, tra di loro pure qualcuno si sarebbe trovato con una divisa a fare il poliziotto o il carabiniere… “Ma quando mai, qua finiamo tutti carcerati e uno di noi muore in una rapina”. ANDREA, laboratorio di giornalismo scuole superiori

 

Angela, etichettata come la “ragazza che quando vuole è brava” dopo aver risolto un problema disse riferendosi alla sua squadra “noi siamo il gruppo dell’intelligenza che usiamo solo quando facciamo il progetto”. STEFANIA, laboratorio di giochi matematici (scuole medie e superiori)

 

IL GRUPPO CLASSE

 

“Sono ragazzi che non sanno appoggiare nemmeno la penna sul foglio” mi fu detto ed invece sono stati realizzati lavori bellissimi per i quali i ragazzi si sono impegnati tantissimo. Mi hanno accolto sin da subito con un entusiasmo travolgente e i risultati non sono affatto mancati… I lavori realizzati hanno restituito loro la consapevolezza che sono bravi… Il gruppo pian piano si è consolidato.. (..) Il rapporto tra di loro è migliorato tantissimo, tutt’ora continuano ad uscire insieme ed anche il rapporto con alcuni docenti è migliorato. Il rendimento scolastico, per alcuni ragazzi, tra lo stupore generale dei professori è migliorato. SOFIA, educatrice scuola media

 

In particolare ricordo una discussione che nacque mentre ognuno stava lavorando al giornale, verso la fine dell’anno, quindi dopo molto tempo passato insieme… Non ricordo bene in che modo si arrivò a parlare della morte, per poi affrontare il discorso della morte violenta, degli omicidi, della giustizia, di quel male che li perseguita e li tiene a bada, che li attrae, li seduce, li condiziona. Antonio diceva che se qualcuno gli avesse fatto un torto alla famiglia lui sarebbe stato disposto ad ammazzare. Marco no. Diceva che non sarebbe mai stato capace di tenersi un morto sulla coscienza. Disse proprio così, inconsapevole di parlare, in quel preciso istante, d’imperativo categorico, di morale, di etica, di ciò che per un individuo è giusto o sbagliato. Da lì il discorso si spostò sulla giustizia e sulla morale, appunto. Parlammo anche di camorra, evitando di cadere in quel moralismo troppo spesso ascoltato nelle scuole. Ognuno aveva la sua idea da esprimere liberamente… Anche la professoressa era presente e ascoltava in silenzio, senza interromperli… All’improvviso, mentre discutevamo, mi sembrarono tutti più cresciuti, più maturi. ANDREA – Laboratorio di giornalismo, scuole superiori

 

 

Con non poche difficoltá si é arrivati a stare bene seduti in gruppo, in cerchio, per guardarsi …. Per interrogarsi su di sé, sui compagni ma anche sui docenti, di cui spesso i ragazzi non capivano le modalitá di relazionarsi a loro, le urla … le offese ( dal deficente all’ignorante, dal demente all’ebete). L’ultimo circle time in questa classe? INDIMENTICABILE! Ero con Francesca, l’osservatrice … Entriamo in classe e loro sono giá pronti lí in cerchio, in silenzio: << ci siamo giá sistemati … Per non perdere tempo >> e Francesca << non mi è mai capitata una cosa del genere!>>

FRANCESCA, educatrice scuole medie

 

“(…)porterò con me un nuovo tipo di studiare e comprendere in gruppo; porterò i momenti quando ci univamo in cerchio per scambiare i nostri pareri e non lascerò niente qui; porterò la forza e la volontà di Sofia per darci coraggio e nel farci rendere conto di quanto è importante studiare e di come può essere divertente.”S., scuola media

 

“In questi mesi abbiamo fatto tante cose insieme sicuramente con me porterò tutto, mi è servito tanto perché ho capito quanto è importante il lavoro di gruppo, ho capito che insieme si può arrivare a fare tutto e sicuramente grazie al progetto E-vai e sicuramente grazie a Sofia, mi porterò tutto con me(…) Oggi è l’ultimo giorno che ci vediamo, tutto è stato molto emozionante ringrazio a chi ci ha dato questa opportunità e grazie al progetto.”F., scuola media

 

“In questi quattro mesi sono passati davvero veloci così oggi è l’ultimo giorno del progetto E-vai. A me mi piaceva tanto perché ho imparato tante cose per esempio ho imparato tante cose dei miei amici che io non sapevo…Poi ho imparato a stare con gli amici che non sopportavo”, T. scuola media

 

PAURE E RIFIUTO DI APPRENDERE

 

Giulia…quanto è stato difficile stabilire inizialmente un contatto con lei! In classe mi è risultato praticamente impossibile: aveva eretto un muro tra lei e tutto ciò che la circondava, me inclusa ovviamente. Dormiva sui banchi, rifiutava qualsivoglia attività didattica, non riusciva nemmeno ad effettuare semplici addizioni e sottrazioni…quando era in uno stato di veglia chiaramente era di un fastidio terribile per l’intera classe. In aula non sono riuscita, se non in poche occasioni, ad istaurare un rapporto più “profondo” con lei; solo nel momento in cui è uscita fuori da quella scuola ci siamo davvero incontrate. Si è fidata e affidata, seppur gradatamente. SOFIA, Educatrice medie

 

Paola aveva 9 anni quando rimase vittima di un incidente automobilistico con tutta la sua famiglia: il papà era alla guida e purtroppo la sorellina più piccola perse la vita. Quell’episodio ha rappresentato lo spartiacque della sua esistenza: da ragazzina timida e tranquilla a pseudo-donna violenta e feroce. Patrizia non si concedeva mai di essere “piccola”: si truccava in un modo allucinante, una sorta di maschera che curava con impegno, incessantemente, tirando fuori dalla borsa rossetti ed ombretti dai colori improponibili. …. Nessun professore aveva provato ad accostarsi a lei trattandola semplicemente per quello che è: una ragazzina impaurita. Le proposi di partecipare al laboratorio di trucco, al centro Asterix, data la sua “predisposizione” e sin da subito accolse con entusiasmo l’invito. Si è rivelata nel corso del laboratorio territoriale una risorsa incredibile…SOFIA, educatrice scuole medie

 

Carla, che parlava in dialetto, urlava, era aggressiva pur scherzando. Ciononostante, quando Carla scrisse la sua autobiografia lo fece con precisione e impegno, in un italiano scorrevole, praticamente senza errori…. In quell’ambiente Carla non avrebbe potuto esternare le sue capacità così facilmente… sapeva di avere talento, ma non voleva nutrirlo, forse non poteva accettare un simile dono. Il suo destino sembrava circoscritto tra le case fatiscenti del rione Conocal. ANDREA – Laboratorio di giornalismo (medie e superiori)

 

Una volta, verso la fine dell’anno, Antonio non volle lavorare, non aveva voglia. Era passato altro tempo in cui non l’avevo più visto, ormai mi ero adeguato ai suoi alti e bassi… quando gli portai una pagina di un giornale, con l’immagine di un uomo dietro alle sbarre e il titolo “per una presta libertà”, lui cominciò a ritagliare e a incollare parola dopo parola le frasi sulla pagina del giornalino. Uscì una sorta di pagina dedicata “a tutti i detenuti di Napoli”, “Per una presta libertà”.

Qualche settimana dopo la fine della scuola venni a sapere che Antonio era stato bocciato. Un giorno mi mandò un messaggio su facebook: “Fra e stat bell fa o giurnal ku te, grazzie di tutto” ... Prima di andare via con il motorino, mi chiese se a settembre fossi stato ancora a scuola, gli risposi di si. Che c’ero. Che ci sono.   ANDREA – Laboratorio di giornalismo (medie e superiori)

 

LE FAMIGLIE

 

Con le famiglie si è instaurato un ottimo rapporto. Hanno potuto condividere con noi le paure legate alla crescita dei figli … Abbiamo potuto restituire l’immagine di ragazzi in possesso di competenze e capacità, ridefinendo nella categoria della “normalità” alcuni atteggiamenti considerati “alieni”. Abbiamo ascoltato vari racconti di genitori che vorrebbero educare i figli in un certo modo, ma proprio non ci riescono, e quindi chiedono aiuto. Nelle nostre risposte non ci sono state certezze, ma semplicemente una restituzione dell’umanità della relazione… si riesce a costruire qualcosa di buono solamente se non ci si sente isolati e si condividono vissuti e pensieri, dandone un senso. STEFANO e FORTUNA, Educatori scuola superiore

 

I DOCENTI: RESISTENZE E CAMBIAMENTI

 

I prof. hanno potuto vedere che ragazzi bollati spesso come terribili, ingestibili, svogliati in realtà lavoravano in silenzio e proficuamente… STEFANO e FORTUNA, Educatori scuola superiore

 

Nell’ultimo collegio dei docenti di pochi giorni fa, in nostra assenza, il Dirigente ha elogiato il nostro operato come spesso è avvenuto durante l’anno. Ha messo in risalto che il numero dei dispersi si è ridotto sensibilmente e soprattutto ha visto ragazzi che lavorano, che partecipano proficuamente a delle attività. ….Potevamo essere “una rogna” ed invece ci considerano un importante valore aggiunto! STEFANO e FORTUNA, Educatori scuola superiore

 

Quando feci il giro delle scuole per consegnare i giornalini a ognuno, capitò d’imbattermi in alcune insegnanti presenti nelle classi che, mentre sfogliavano le pagine, notavano errori di ortografia, e lo facevano notare davanti a tutti gli alunni. Mi faceva sorridere quella loro pedanteria. ANDREA – Laboratorio di giornalismo (medie e superiori)

 

Non tutti gli insegnanti hanno accolto con entusiasmo il mio modo di lavorare, non è stato apprezzato il tempo che concedevo ai ragazzi per pensare. STEFANIA – Laboratorio di giochi matematici (medie e superiori)

 

Questa rigidità in classe non mi ha permesso di conoscere i ragazzi, in presenza della prof. i ragazzi erano delle “belle statuine” avevano anche paura di muoversi, non si esprimevano perché ogni loro parola era sottoposta a giudizio. Spesso senza motivi particolari la prof. ripeteva “non sapete fare niente” e quando durante i giochi incitavo i ragazzi a parlare, ad ogni risposta errata la prof. diceva “ ma che dici?!! Stai zitto!”. STEFANIA – Laboratorio di giochi matematici (medie e superiori)

 

La prof. mi ha presentato le due ragazze dicendo “Non sanno fare niente… da dove vuoi cominciare? puoi cominciare da dove vuoi non sanno nulla , sono ciuccie e basta”. Io quando le ho conosciute ho proposto degli argomenti su cui ero certa di un loro successo per ridargli un po’ di fiducia, ed in effetti P. è molto brava, S. dichiarava apertamente di venire a scuola solo per il progetto e V. dopo esser stata allontanata ha battuto tutti con uno splendido esame. STEFANIA – Laboratorio di giochi matematici (medie e superiori)

 

Nonostante la prof. fosse molto preoccupata per il programma da ultimare in vista dell’esame si è mostrata sempre partecipe ed interessata ai giochi e alle risposte dei ragazzi, valutando a fine anno la loro collaborazione e partecipazione. STEFANIA – Laboratorio di giochi matematici (medie e superiori)

 

I sorrisi, ho capito quanto valgono con questi ragazzi, se donati e se ricevuti. I cambiamenti non sono stati visibili solo con i ragazzi ma anche con i professori … M. M., docente di matematica di questa classe, è passata dal trascurarsi e dal trascurare i ragazzi ad una fase nuova. Mi dice verso la fine dell’anno: << francesca, tu sei sempre cosí solare con i ragazzi …. Ho capito che é importante. Ora mi trucco, mi sistemo con cura e cerco di sorridergli sempre. Ho fatto un progetto per i ragazzi che incontreró e per quelli che cresceranno. Ho preso spunto dalle vostre attivitá, dal vostro modo di fare lezione… Ora appunto tutto e mi organizzo.Farò cartelloni, useró piú giochi>>. FRANCESCA, educatrice scuole medie

 

Ancora oggi mi fermo a riflettere sul fatto che se nessuno fosse entrato in quella classe o –peggio ancora- se mi fossi arresa di fronte all’ostinazione di qualche insegnante, io e tutti noi ci saremmo persi tutto questo. FRANCESCA, educatrice scuole medie

 

 

IL LABORATORIO DI GIORNALISMO

 

In genere, a quelli che appaiono più restii alle attività di scrittura, inizialmente propongo di lavorare con i collage, oppure di disegnare, colorare. Sono quelli che con la scrittura hanno gravi lacune…. Sono “i grafici” del giornale: se non sono semianalfabeti ma ci siamo vicino, parlano quasi esclusivamente in dialetto e sanno di non sapere. In genere, sono molto creativi, estrosi, pieni d’immaginazione… E spesso non sanno di essere tutte queste cose. ANDREA – Laboratorio di giornalismo (medie e superiori)

 

Ognuno disse la sua, e se in un primo momento i ragazzi si stupivano quando vedevano che io non avevo problemi a ricopiare per filo e per segno tutte le cose che loro dicevano, dopo un altro paio di tentativi iniziarono a prendere la cosa sul serio e il testo alla lavagna uscì lungo e strutturato, man mano esprimevano concetti sempre più intensi. ANDREA – Laboratorio di giornalismo (medie e superiori)

Penso che con loro… abbia imparato più cose io da loro di quante loro ne abbiano imparate da me… Spesso dedicavo il tempo ad ascoltarli, a rispondere e a domandare, a ridere, e questo anche grazie al clima disteso che dopo un paio di mesi si creò in classe, nonostante il caos… Trascorrere con quei ragazzi il tempo del laboratorio per me ha significato conoscere meglio un mondo, una dimensione prima intravista, poi esplorata con divertimento, nel senso che mi divertivo insieme a loro. E infatti, quando andavo in quella classe, mi ponevo con curiosità rispetto alle loro individualità. Mi sentivo in dovere di conoscere quel mondo al quale appartenevano, quei valori che rispettavano, quel modo di affrontare la sofferenza con ironia o con una battuta amara, tutte quelle parolacce e quei modi di dire, quella violenza verbale e fisica sempre pronta a esplodere. Insomma quelle storie volevo sentirle, volevo capirle, mi ci specchiavo con loro, cercavo di ridurre la distanza, che poi è la distanza non solo tra adulti e adolescenti, ma anche tra ricchi e poveri, laddove per ricchezza non s’intende il conto in banca, ma qualcosa di più profondo che ha a che vedere con la condizione sociale. ANDREA – Laboratorio di giornalismo (medie e superiori)

 

Pensavo che se non avessi conosciuto a fondo quel sapere di cui erano portatori non avrei mai potuto relazionarmi con loro alla pari, con sincerità e spontaneità, per poi tentare di mettere in moto lo scambio dell’apprendimento. Dovevo andare prima io verso di loro, poi, piano piano, forse sarebbero venuti anche loro verso di me.. ANDREA – Laboratorio di giornalismo (medie e superiori)

 

Andai a consegnarglielo [il giornalino finito] a ognuno, una mattina di fine anno, in classe. Forse capirono ciò di cui erano stati capaci in quel preciso istante. ANDREA – Laboratorio di giornalismo (medie e superiori)

 

IL LABORATORIO DI GIOCHI MATEMATICI

 

Attraverso attività informali del tipo giochi di squadra, indovinelli, rompicapi, attività manuali cerco di creare situazioni di apprendimento personalizzato per arrivare al “sapere formale” della matematica. STEFANIA – Laboratorio di giochi matematici (medie e superiori)

 

Ho sempre proposto “problemi”, ossia situazioni nuove per le quali gli studenti non potevano utilizzare schemi di comportamento appresi in precedenza ma dovevano ricercare una strategia nuova, tutto ciò per favorire la costruzione degli apprendimenti piuttosto che la loro assimilazione , permettere ai ragazzi di affrontare situazioni inedite e di riconoscere la matematica nel mondo reale. STEFANIA – Laboratorio di giochi matematici (medie e superiori)

 

L’anno prossimo dovrò dedicare un po’ più del mio tempo a scrivere ciò che provo, ciò che vedo negli occhi dei ragazzi, ciò che ascolto durante le attività, soprattutto dovrò segnarmi con costanza e precisione gli errori dei ragazzi ed i loro ragionamenti che a prima vista sembrano completamente sbagliati. STEFANIA – Laboratorio di giochi matematici (medie e superiori)

 

I LABORATORI TERRITORIALI DELLE ARTI – IL TEATRO

 

Quando è “fuori” Pako è terribile, diventa tra i più irrequieti, fa il buffone e rischia di rompere sempre qualcosa. Lo fa per far ridere i compagni, di cui cerca la complicità. La sensazione è che faccia casino per essere chiamato “dentro”, soprattutto quando nessuno è “fuori” con lui. Nel momento in cui viene invitato nel “dentro”, Pako dice di non esserne capace: «Non lo so fare», è la sua risposta standard. In questi momenti lo sguardo di Pako si trasforma: diventa malinconico, serio, e va in contrasto con il suo modo giullaresco di vivere. Forse deve ancora trovare il suo “dentro”… Eppure Pako, così tanto smarrito nel “fuori”, arriva sempre puntuale. E da giullare diventa guerriero in lotta con se stesso GIUSEPPE, tirocinante e aiuto regista

 

Il fatto che l’Asterix (centro giovanile sede del teatro) sia una soglia tra scuola, casa, strada, è utile per capire come il centro tenti di riorganizzare quelle istituzioni che da sempre hanno escluso questo processo di riconoscimento. Una scuola troppo lontana e rigida, una casa che non è rifugio, una società che massifica, fa di questi piccoli esseri umani degli accumuli emotivi senza nome, senza consistenza, ai margini dell’esistenza, periferici nell’anima. GIUSEPPE, tirocinante e aiuto regista

 

 

Il cambiamento non sta nelle grandi imprese, ma nelle variazioni microscopiche. Solo così è possibile capire il senso di tutto il lavoro fatto e godersi (nel caos) la sorpresa di vedere che quelle conquiste emergono improvvisamente, senza un’apparente logica di continuità. Così ti accorgi che Patrizia, nonostante urla e parolacce, ha imparato la sua parte, e sembra assorta, in sintonia, viva nell’istante in cui prova a essere Puck. «Quando facciamo la mia seconda parte del personaggio? Ho ripetuto tutta la settimana!» mi urla in faccia Ciro, uno dei leader del gruppo. Queste conquiste non sono poi così microscopiche, e anzi si rivelano enormi imprese. GIUSEPPE, tirocinante e aiuto regista

 

Il momento dello spettacolo è arrivato, il caos è forte. Si sente odore di saluti, aria da fine anno. Mariarca mi dice di essere emozionatissima, i suoi occhi lo esprimono più della sua voce. Il pubblico non sembra placare gli animi degli attori, più nervosi che mai. Manca poco al debutto, quando accade. Posiziono i primi tre protagonisti che andranno in scena: Michael, Enza ed Emanuele. Non sembrano stare nella pelle, tutti tranne Emanuele. Il suo sguardo è perso nel vuoto, il corpo irrigidito. Mi guarda negli occhi e mi dice: «Ho paura». Ha abbassato la sua maschera e, a petto nudo, mi ha mostrato ciò che sente. Ci siamo abbracciati, io gli ho detto quello che avrei detto a me, ossia che la paura a volte è bella da vivere, e che quel momento non l’avrebbe dimenticato.

Gli tengo una mano sulla spalla e cerco di dargli carica. Poi il momento arriva, e lo vedo andare. Da dietro l’angolo incrocio le dita e sento le sue battute che si fanno via via più sicure e fluide. Ripenso alla domanda che mi feci qualche settimana prima: ne vale la pena? Si, è la risposta, immediata come un fulmine. Tutto quello che avevo fatto in un anno aveva trovato senso in quell’istante. GIUSEPPE, tirocinante e aiuto regista

 

 

TEMPORANEE CONCLUSIONI

 

Durante questi tre anni di Progetto E-vai abbiamo potuto raccogliere numerosi elementi di riflessione per tentare di comprendere meglio il mal di scuola, che logora giorno per giorno molti adulti che appaiono sempre più stanchi e incapaci di offrirsi come modelli di vita attraenti e molti giovani che si trovano a replicare copioni di disaffezione, aggressiva o apatica. Ci siamo convinti che consentire a tutti i saperi di emergere e di avere pari dignità, quelli degli allievi ma anche quelli degli insegnanti, facilita i processi di crescita e apprendimento in maniera evidente. Tuttavia nulla di quanto realizzato sarebbe stato possibile senza il paziente lavoro di rasserenamento del clima scolastico.

In altri termini pensiamo che il sapere formale si configuri spesso come un sapere iperstrutturato e dunque “armato”, forte e sicuro di sé, che prevede un automatismo della risposta piuttosto che un tempo per pensare: per queste caratteristiche ben si presta a fungere da strumento difensivo in un clima di incertezza e destrutturazione delle relazioni intergenerazionali. L’ansia che molti insegnanti hanno del programma da svolgere, il loro attaccamento talvolta ossessivo ai saperi formali e il timore di sostare su ciò che essi considerano ludico o inutile, sono fortemente indotti dal sistema e rimandano probabilmente al bisogno di darsi un mandato tecnico forte, in mancanza di un mandato sociale forte.

E’ come se la società ipermoderna avesse da un lato svuotato di senso il lavoro degli insegnanti, sottolineando che il destino personale si costruisce individualmente e fuori dalla scuola (Beck, 1997; Appadurai, 2004; Bottani, 2013), dall’altro è invece proprio agli insegnanti che viene demandato il lavoro gravoso di rispondere alla domanda di futuro e di senso esistenziale dei giovani ed insieme il potere di selezionarli, escludendoli dai circuiti della formazione certificata che in alcuni casi resta invece l’unica possibilità di modificare i loro copioni familiari. Ne deriva spesso un groviglio di senso di impotenza e di colpa, che non tutti i docenti sono in grado di affrontare e sbrogliare, soprattutto se abbandonati a loro stessi.

Non è possibile dunque che la scuola diventi davvero luogo di tutti i saperi senza un cambiamento culturale drastico, che ne rifondi autenticamente il mandato.

 

 

 

 

 

 

Keywords: saperi informali affettivi e cognitivi, adolescenti a rischio, sperimentazione nella scuola